Una staffetta letteraria a ostacoli
Di Francesca Ortenzio, chinalski, Piero Fabbri.
Introduzione (obbligatoria)
Le introduzioni sono fatte per essere saltate. Questa teoria è seguita da molti, e, a dire il vero, non ci sentiamo di condannarli: spesso seguiamo anche noi il loro esempio. Questa però è una introduzione obbligatoria, perché il racconto che costituisce la gran parte di questo scritto è pur sempre solo "una parte", ed è possibile che non sia ben compreso se non se ne conosce la storia; soprattutto, se non si legge l'introduzione è difficile giocare con il racconto stesso.
Però, anche se è obbligatoria, questa introduzione è pur sempre una introduzione, e quindi (per definizione) noiosa. Cercheremo allora di farla in più breve possibile, cominciando subito a darvi le informazioni essenziali per comprendere e giocare il racconto.
La storia e l'idea
Nella remota ipotesi che abbiate tra le mani (o a video) questo racconto senza conoscere il sito dove è stato generato, è importante che sappiate che esso discende integralmente da una fronda de "La Parolata", una benemerita newsletter (nonché altrettanto benemerito sito: www.parolata.it) che ha come obiettivo primario quello di illustrare due o tre lemmi della lingua italiana al giorno. Già l'idea è di per sé encomiabile: ma, come spesso succede alle cose originali, si sono susseguiti sviluppi e diramazioni: la newsletter è cresciuta, ha cominciato ad ospitare rubriche fisse, cose divertenti legate in qualche modo alla lingua, e perfino dei veri e propri giochi.
Uno di questi giochi, chiamato "Uomini e Parole", richiedeva ai lettori di andare a caccia delle parole italiane che etimologicamente discendono da nomi propri di persona, come, tanto per dire, fanno parole come "linciaggio" o "ghigliottina" (no, no: esistono anche esempi meno truculenti, basta cercare...). Le parole via via segnalate dai lettori venivano pubblicate, generalmente in numero di due al giorno, sulla newsletter, e veniva nel contempo stilata una classifica di chi aveva segnalato il maggior numero di parole "valide". Le regole erano snelle: sostanzialmente, era sufficiente che l'esame etimologico (eseguito, come sempre dal curatore e padre fondatore della Parolata) confermasse che la parola "comune" discendesse davvero da un nome proprio ed il primo segnalatore della parola riceveva un punto nella speciale tenzone.
Il buon successo del gioco ha indotto il curatore della Parolata a ripeterlo in una seconda edizione, dove però si richiedeva di elencare le parole con etimo legato a "luogo geografico", anche se l'aggettivo "geografico" va inteso in senso molto lato. Furono tosto introdotte delle limitazioni: ad esempio, non esiste nome di vino o formaggio che non discenda direttamente dal nome del luogo di produzione, e perciò tali lemmi furono esclusi dal concorso.
Appena questa seconda edizione del gioco, dal titolo "Nomi di Paesi, la Parola", venne lanciato, si scatenò immediatamente un ciclopico invio di parole nella casella postale del curatore. E' infatti evidente che il gioco, pur venendo "assorbito" lentamente dalla newsletter, ha il momento cruciale proprio all'inizio, quando tutti i partecipanti cercano di inviare al più presto possibile (come si è detto, solo il primo proponente la parola ha diritto al "punto") il maggior numero di parole valide. In questa fase, uno degli autori del racconto cominciò, con infantile pignoleria, a comporre delle frasi che contenevano unite la mezza dozzina di parole che intendeva proporre per il gioco: da qui ad inventare un "gioco nel gioco", non ci è voluto molto.
Si decise allora di richiedere, a chiunque avesse voluto, di scrivere un capitolo di una costruenda vicenda narrativa che doveva seguire le seguenti regole:
a) essere un capitolo di un racconto coerente con quelli precedenti;
b) contenere tutte le "parole chiave" del gioco "Nomi di Paesi, la Parola" pubblicate nella settimana precedente dalla newsletter.
La prima regola, in buona sostanza, si limitava a stabilire che il racconto doveva essere quello che gli inglesi chiamano una "round-robin story", ovvero un racconto scritto a più mani, ma nel quale ogni autore scrive un capitolo continuando una storia scritta da altri e senza avere idea di come altri ancora la continueranno. Di qui, il senso di "staffetta narrativa" del sottotitolo del racconto.
La seconda regola è invece assolutamente vincolata alla Parolata e al suo contenuto: le parole pubblicate, per quanto strane esse fossero, dovevano coniugarsi nel corpo del racconto, e per quanto possibile essere amalgamate con esso. Insomma, "gli ostacoli" citati sempre nel sottotitolo.
In realtà, esistevano anche delle regole minori, ma non meno vincolanti: le parole che discendono da nomi di luoghi possono aver ormai fagocitato il significato orginario (si pensi a "maratona": ormai il senso che veicola è quasi esclusivamente quello della prova sportiva, non più quello del luogo originario della battaglia tra greci e persiani), e questo tipo di parole non aveva particolari regole da rispettare nell'economia del racconto. Ma altre parole possono conservare ancora il senso originario, oltre ad averne acquisito (almeno) un secondo: si pensi a "spartano", che è spesso usato come sinonimo di "frugale"; ma non ha comunque perso ancora il significato di "abitante di Sparta". In questi casi, era vincolante utilizzare solo la parola nel suo significato derivato (frugale) e non in quello primitivo (abitante di Sparta). La parola citata ad esempio non è causale: è una delle parole chiave del racconto, ed è stata scelta proprio per mostrare che anche gli autori sbagliano... nel testo la incontrerete infatti usata erroneamente nel suo significato primitivo anziché in quello derivato.
Se non una vera e propria regola, un ulteriore vincolo era rappresentato dal fattore tempo: una volta pubblicate la decina di parole-chiave sulla newsletter della "Parolata", l'autore di turno aveva una settimana circa per produrre il capitolo di competenza: visto che tutti gli autori (che alla fine sono arrivati - rimasti - in numero di tre) sono bel lungi dall'essere scrittori professionisti e hanno anche un vero e proprio lavoro da portare avanti, la cosa si è rivelata non sempre di semplice fattura.
Il capitolo così prodotto veniva poi pubblicato sul sito, il lunedì successivo: aveva ben evidenziate in maiuscolo le parole-chiave, a dimostrazione che le regole di composizione erano state rispettate, e il nome dell'autore ben evidenziato in testa al capitolo e nel sommario. In questa edizione sono stati apportati dei cambiamenti di forma, per consentire di giocare anche ai lettori.
Il risultato finale è un racconto giallo-nero ambientato a Torino, città cara agli autori, composto da ventitré capitoli e contenente 227 parole-chiave la cui etimologia discende da "luoghi". Nonostante gli ostacoli, lo strano iter di composizione e il dilettantismo degli autori, le cinquanta e passa pagine raccontano una vera e propria mystery-story, nel duplice significato di "storia poliziesca" e "storia misteriosa". Insomma, magia nera e assassini da scoprire all'ultima pagina.
I giochi giocati da chi ha scritto
Una round-robin story è soprattutto un divertissement per chi scrive: e qualche volta lo è anche a scapito di chi legge. Portare avanti una trama da sempre un certo senso di potenza all'autore, che può disporre come meglio crede del destino dei personaggi del racconto: ma quando chi scrive, inventando e facendo vivere un personaggio, si ritrova qualche capitolo dopo lo stesso personaggio impelagato in situazioni del tutto inaspettate (o, più semplicemente, già cadavere), al senso di potere si addiziona un senso di frustrazione del tutto sconvolgente.
Ciò nonostante, scrivere in questa maniera è senza dubbio sfidante e divertente: la cosa più sorprendente è che i personaggi, la storia e gli eventi continuano a svilupparsi di vita propria. Questa affermazione è tutt'altro che insolita per qualsiasi romanzo o racconto, ma nei racconti scritti a turno è di una evidenza assoluta, e gli autori ne restano sempre stupefatti. Molto di più, a dire il vero, di quanto possano esserlo i lettori.
Quindi, il primo gioco giocato è stato scrivere il racconto, e portarlo a conclusione (cosa sulla quale nessuno dei tre autori avrebbe scommesso); il secondo era costituito dalla sfida delle parole chiave, e non è detto che sia sempre stata vinta. Alcune parole hanno trovato uno spazio naturale nella storia, e sono probabilmente quelle che sarà più difficile riconoscere; altre sono palesemente inserite a forza, a causa della loro scarsissima frequenza di utilizzo nella lingua parlata e scritta, e risaltano nel racconto come evidenti note stonate: sarà facilissimo individuarle, anche ignorandone etimologia e significato.
Una terza classe di parole è più intrigante: sono quelle parole che, pur essendo ragionevolmente note, hanno costretto gli autori a spostare l'azione del racconto in luoghi particolari, o ad inventare particolari specifici che comunque sono diventate caratteristiche integranti del racconto stesso: è per questo, ad esempio, che l'azione ad un certo punto si sposta nei dintorni d'un ippodromo; sempre per questa ragione l'ufficio del commissario è pieno zeppo di cianfrusaglie improbabili: ma la cosa curiosa è che quell'ufficio resta nell'economia del racconto importante a disegnare proprio il carattere insolito del protagonista.
Infine, se quasi ogni racconto ha alcune incongruenze interne, quelle presenti in questo sono moltissime, a causa della maniera di scrittura e del non trascurabile elemento che il racconto è una integrale "prima stesura" non riveduta (e, come già detto, scritta a scadenze brevi e fissate). Questo ha portato alcune incongruenze già evidenti durante lo sviluppo del narrato, e una sfida ulteriore degli autori è stata quella di provare a "ricucire" gli strappi più evidenti. Ciononostante, durante la lettura dovrebbe essere evidente che, ad esempio, lo stato civile del protagonista è un mistero quasi più grande (e oscillante) dell'identità dell'assassino, per non parlare del fatto che uno dei morti ammazzati ha indotto uno sfasamento temporale nel racconto per il semplice fatto che un paio di autori non si rassegnavano a lasciarlo morire.
I giochi giocabili da chi legge
Per il lettore animato da voglia di giocare, sono almeno due i giochi naturali giocabili con il racconto. Il primo è ovviamente la ricerca delle 227 parole-chiave: nel reparto "Soluzioni", prima dell'indice che le riporta tutte e 127 con il corrispondente numero di pagina ove compaiono, è stata inserita una scheda in cui il lettore può divertirsi a registrare le parole "sospette". Alcune avvertenze sono necessarie: alcune parole compaiono ovviamente più di una volta, nel racconto, e questo avviene sia perché la narrazione può richiederlo per il suo normale sviluppo, sia perché i "significati derivati" della parola possono essere più di uno. Le parole-chiave, inizialmente evidenziate dal carattere maiuscolo, sono state naturalmente ricondotte al normale minuscolo proprio ai fini del gioco.
Un altro gioco può essere quello della "ricerca degli autori". È stata eliminata l'indicazione dell'autore di ogni capitolo, se chi legge ritiene possibile distinguere e riconoscere chi ha scritto le varie parti della storia, può cimentarsi in questa caccia stilistica, e poi confrontare i risultati con la "Mappa degli Autori" pubblicata nella zona soluzioni.
Altri giochi sono giocabili, ma sono i giochi che si possono sempre giocare con un libro: si può provare a scoprire l'assassino, che è il gioco preferito dei lettori di gialli, ad esempio. Si può provare a cercare sul dizionario cosa diavolo voglia dire una parola strana: e se il metodo appare troppo faticoso, ci si può sempre iscrivere alla newsletter della Parolata per avere lo stesso risultato. È persino gratis.
Infine, si può giocare e divertirsi semplicemente leggendo la storia. Questo è ad un tempo il gioco più facile e più difficile: facile, perché leggere una storia non ha bisogno di istruzioni particolari o di introduzioni complicate come questa: difficile perché gli autori sperano davvero che leggere il racconto sia divertente, ma non possono fare altro che limitarsi a sperarlo. Come al solito, il giudizio finale è di sua maestà il lettore.