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Il paese ritrovato

Capitolo ventunesimo

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"Non tornartene a casa", dice il commissario.

Non tornartene a casa, piccola e indifesa Orsolina, no,,, Sei già davvero pronta a spegnere le luci in quell'appartamento freddo e deserto? O forse non sarà del tutto deserto, magari? Forse un amico, dei parenti, dei guardiani prezzolati veglieranno sul tuo riposo tormentato dagli incubi, mia piccola Orsolina? Come passerai questa notte piena di pioggia? Pioggia che sembra lacrimar degli dei, o magari solo lacrimare dei tuoi occhi belli, mia affascinante fanciulla. Cammini svelta e decisa, sei già sola, in questa città ignara di te e ignota a molti. Cammini come una nobildonna d'altri tempi, fiera e diritta anche in mezzo alla sventura e alla disperazione tua e del clima, mia piccola principessa. La lambretta maleducata solleva schizzi dalla pozzanghera, inzacchera il tuo vestito leggero, così poco adatto ad una giornata come questa, piccola mia. Accogli la mota senza troppo fastidio, come una principessa che sa di che colore sia lo sterco delle regali stalle. Cammina, piccola principessa, cammina. Come arriverai a casa, stasera? Resterai davvero sola a casa, per tutta la notte? Perché non chiami un taxi, almeno? Mi è fin troppo facile seguire il lento ondulare dei tuoi fianchi, così... quel dondolio maestoso che fai, senza sapere di farlo. Aspetti qualcuno, un cavalier servente a bordo d'un destriero di lamiera, principessa? Un moderno templare, un vetusto palafreniere, un marchiano abitante della tua corte privata, mia nobile Orsolina? O camminerai, sola e abbandonata, quasi a cercare punizioni e viandanti crudeli, come fosse una sorta d'ordalia questa passeggiata triste e stanca dalla questura alla tua casa fredda?

Ci sono io ad accompagnarti, principessa.

Io non ti lascio sola, lo sai. Ti accompagno di strada in strada, di via in via, di palazzo in palazzo. Sarò con te per tutto il tragitto, ovunque le tue caviglie perfette decideranno di condurci. Dritti all'inferno, se vuoi. Avanti fino al paese di bengodi, se conosci la strada. Cammina, Orsolina, cammina, Non mi vedi, mia principessa, ma io sono con te. Sono con te adesso, sarò con te tutta la notte. Oh, poi... tutta la notte significa anche che resterò con te per tutto il resto della tua vita, principessa mia adorata, ci pensi? Sono il tuo compagno per la vita, adesso. Sei mia, la mia donna, la mia femmina e la mia principessa, ormai. Finché morte non ci separi.

Riconosco la strada, vita mia. Stai andando proprio a casa. A piedi, scioccherella... in questa sera buia e piovosa, attraverso il centro di questa città antica e misteriosa. Se non ci fossi io, a proteggerti, chissà... potresti fare dei brutti incontri, lo sai? Ma non hai niente da temere, con me nascosto nell'ombra a guardare i tuoi passi. Ho il petto e il braccio d'un re spartano, la astuzia rapida e decisa d'un ateniese, per proteggerti. E sarò dolce come miele distillato in un bicchiere di zucchero, per cullarti. E sarò peggio del fiele versato nel pontico liquore di Smirne, per chi oserà avvicinarsi alla tua figura leggera, mia principessa. Lascia che io ti protegga, lascia che io ti guidi, lascia che io segua il dolce ticchettio dei tuoi tacchi alti che cantano nella pioggia.

Ecco il portone, principessa. Apri in fretta, ripara il tuo santo volto dalla pioggia. Entra, sali, presto... sei al sicuro, lì dentro. Al sicuro dal mondo e dalle forze del male, come un gatto certosino nella cesta calda vicino alla stufa accesa d'inverno. Al sicuro da tutti, tranne che da me. Ma adesso ti lascerò sola, per qualche ora, piccola mia. Qualche ora da sola, e poi tutto il resto della tua vita con me... non è fantastico, principessa mia? La mia anima vola verso il sole su un cocchio d'argento, al solo pensiero. Lascia arrivare la notte, piccola mia, lascia che il mondo si addormenti. Ti sveglierò con in baci della mia bocca e della mia lama sottile...

Dio del cielo, quanto sei bella! Brillano i tuoi capelli sul cuscino, brilla la tua pelle, nel buio di questa stanza! Dormi, e il tuo seno si alza e s'abbassa lento e sincopato, ed ogni alzarsi e abbassarsi è un quieto terremoto delle mie pupille. Sono qui di fronte a te, principessa. Di fianco al tuo letto sfatto, vedo il tuo profilo e le tue lenzuola, che riesci a rendere belle solo perché, almeno in parte, hanno adesso la forma del tuo corpo. Hai idea di quanto io abbia atteso questo momento, Orsolina mia? Da quanto tempo abbia cercato lo spazio e il tempo per averti qui, sola, senza necessità di sembrare qualcun altro, senza vestiti sul corpo e travestimenti sull'anima? Hai idea di quel che mi costava mostrami a te come un inflessibile santone, un illuminato profeta, un poeta tormentato? Prima ancora che tu mi conoscessi, io già ti amavo più della mia e della tua vita. Per anni sono stato nascosto nell'appartamento sopra il tuo, per anni ho vissuto dei tuoi rumori, per anni ho bevuto la tua voce ovattata e filtrata dai muri. E poi, infine, il desiderio ha vinto, e sono diventato qualcuno che non avevi mai visto ma che potevi ammirare, qualcuno che non avresti riconosciuto ma che potevi amare. Io, schiavo di te, ho capito in fretta che potevi essere mia solo se avessi riservato a te il ruolo di schiava. E ho costruito quel che ho costruito, piccola mia, solo per questo momento... Lo speravo meno affrettato, certo. Morte chiama morte, e dovevo sapere che liberarti da quel verme che voleva i tuoi soldi e la tua carne avrebbe per forza causato altre morti. Era solo per te, per vederti sorridere, però... Tu bevevi le mie parole, durante gli incontri segreti del nostro gruppo. Io dovevo liberarti dall'ombra dello strozzino, è stato una gioia farlo. Non potevo sapere che la piccola Elena mi avrebbe seguito, che si fosse invaghita al punto di volermi proprio quella notte... e ho provato, a non ucciderla, sai? Ho provato... ma lei aveva il mio segreto e voleva il mio tempo, voleva restare per sempre al mio fianco, la folle, e non riusciva a credere che tutto il mio regno era stato costruito solo per te. L'ho strangolata dolcemente, Orsolina mia, davvero dolcemente, sai? Era seta purissima del Cipango, quella che le carezzò il collo, e ho atteso con dolcezza che raggiungesse l'estasi dell'amore, prima di stringere e estrarle l'anima. E' stato sublime, vita mia, anche se fatto con una femmina tanto meschina. La prendevo forte, le tiravo i lunghi capelli come fossero redini d'un cavallo imbizzarrito, e lei urlava il suo piacere al cielo. Non la credevo amante dell'impervia arte della sodomia, ma lo era. E mi supplicò di prenderla così, con al mia forza divina e demoniaca al tempo istesso, mentre lei quasi soffocava da sola, col volto immerso nel cuscino, emettendo un urlo in sordina dalla lunghezza infinita. Ho aspettato che raggiungesse il culmine, e non ho fatto altro che cambiare redini e morso. Non più i suoi capelli, ma la seta. Non più i suoi fianchi, ma il suo collo. Il suo ultimo urlo... ancora non so, vita mia, se sia stato di piacere o dolore.

Ma il tuo lo riconoscerò, ne sono certo. Dovrò svegliarti, adesso, lo capisci? Dovrò sorriderti e mostrarti il coltello, chiederti di parlare e di farlo quasi in silenzio. Dovrò vedere i tuoi occhi ad un tempo innamorati e terrorizzati, perché è solo così che il dionisiaco sublime si unisce all'assoluto apollineo, lo sai? Ti chiederò di toglierti questa candida camicia da notte, mostrare a me, per intero, la crudele perfezione del tuo corpo. Sei la panacea universale, amore mio... Vederti nuda renderebbe satiro un pederasta, renderebbe lesbica una ninfomane. Devo vederti, e mangiarti un po', prima di ripetere quel rito perfetto. Sono felice, finalmente. Dopo anni con le orecchie passate incollate al pavimento solo per sentire un tuo sospiro, adesso è bastato calarmi dal balcone, forzare la porta, ed entrare nel paradiso. Adesso sei sola, sei con me. Adesso ho tutto, principessa. Ho te e il tuo letto, e questo lungo nastro di seta. Devo svegliarti, amore mio. Non urlare... la carezza fredda del pugnale lungo il tuo profilo ti avvertirà di non farlo... aprirai gli occhi, si riempiranno di terrore, ma non urlerai, vero?

Orsolina aprì gli occhi nell'istante esatto in cui sentì la punta del coltello poggiarsi sulla radice del naso, esattamente tra gli occhi. E gli occhi si aprirono di scatto, come quelli d'una bambola meccanica. Ma non si riempirono di terrore.

Lo scatto delle palpebre di Orsolina sembravano aver fatto un rumore altrettanto secco. Metallico. In perfetta sintonia con gli occhi di Orsolina, una Beretta d'ordinanza aveva lasciato entrare un colpo in canna. Prima ancora che l'eco dello scatto metallico si spegnesse, il finto prete sentì la canna della pistola appoggiarsi delicatamente sulla sua nuca.

"Io sparo veramente da cani, figlio di puttana" - disse la voce profonda e incazzata del commissario Marcon - "ma da questa distanza non ce la farò proprio, a sbagliare mira".

 

Capitolo ventiduesimo

Parolata.it è a cura di Carlo Cinato.
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