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Anguria, cetriolo e cocomero
Piero Fabbri.
--- Sarà successo ormai - ehm - quasi trentacinque anni orsono. Ero ancora adolescente purosangue umbro, in vacanza estiva (si fa per dire) presso la sorella maggiore, a quel tempo unica emigrata in Piemonte della famiglia.
Il caldo quasi ferragostano della periferia nord di Torino (non troppo distante da via Reiss Romoli, che forse qualche lettore della Parolata conosce) indusse la sorella a mandarmi a prendere, nel negozio di frutta e verdura sotto casa, un cocomero. "Non troppo grande", fu la raccomandazione (eravamo solo in tre); e io sono sceso a compiere la missione.
Ora, nel vernacolo umbro d'origine - ma francamente credo sia tale anche in lingua italiana - il termine "cocomero" indica il grosso frutto delle cucurbitacee, dal peso di svariati chili, verde fuori e rosso dentro, con innumerevoli e fastidiosi semi neri. Insomma, è quello più noto, in alcune latitudini, con il nome di anguria. Nome che peraltro ben conoscevo, ma che evitai di usare perchè a quel tempo - almeno così mi pareva - nell'Umbria meridionale si usava il termine cocomero per il tipo sferico e verde (ormai quasi sparito dal mercato, direi), più piccolo delle angurie grosse, a forma di ellissoide di rotazione e generalmente di verde bicolore striato. Sia come sia, giunsi in negozio e chiesi al fruttivendolo se poteva darmi un cocomero, possibilmente non troppo grande.
Questi mi guardò con aria di compatimento, sollevò un piccolo cetriolo e disse "Piccolo così?" - Io risi di quella che credevo essere una battuta, dicendo: "Beh, insomma, un po' più grande sarebbe meglio..." al che egli mostrò un altro cetriolo, più grande del primo, chiedendo: "Questo va bene?". Incominciai a sospettare d'essere preso in giro (i giovani quindicenni semiterroni avevano di queste paure, nella Torino dei primi anni '70), e mormorai un timido... "Ma no, un cocomero, anche se piccolo, deve essere più grande...". Il fruttivendolo non si perse d'animo e mi mostrò un cetriolone di tutto rispetto. (Si pregano i cortesi lettori di non citare quest'ultima frase estrapolandola dal contesto: i fraintendimenti sarebbero devastanti per la mia dignità eterosessuale). A quel punto non sapevo più che fare, ho girato sui tacchi e sono uscito dal negozio. Potrei persino non aver salutato il negoziante.
In seguito, ho appurato che quello che per me è unicamente chiamabile con il termine "cetriolo" è altrove chiamato anche "cocomero", che è termine per me riservato solo all'anguria. Non so neppure adesso, però, se l'uso di chiamare "cocomeri" i cetrioli sia torinese, nordista o magari di tutt'altra estrazione geografica. Il quartiere ospitava molta gente di origini meridionali, oltre che indigeni settentrionali, e per noi poveri e sparuti centroitalici non era facile capire la provenienza dei termini (a meno che non venissero pronunciato con spiccato accento vernacolo).
Questa nuova rubrica sembra fatta apposta per sciogliere il mio più che trentennale dubbio... ---
Giovanna Giordano.
--- Non mi par vero di poter offrire un piccolo aiuto al sommo Piero. Ci proverò.
A casa mia, abitata da torinesi discesi dalle vicine valli di Cuneo e del Canavese, l'anguria si chiama "anguria" e il cetriolo "cetriolo". La prima può avere forma allungata e colore striato, oppure tondeggiante e color verde scuro (non se ne vedono più, è vero), ma sempre anguria è. Il secondo è piccolo e allungato, di dimensioni, diciamo, di un bel membro virile. Per quanto riguarda "cocomero" si sa che è termine usato dai meridionali per indicare un ortaggio che i piemontesi di casa mia mai si sono curati di identificare con precisione.
Da quanto sopra, il quindicenne Piero potrebbe essere incappato in un fruttivendolo del sud. ---
Marco Marcon.
--- Per quanto riguarda i cocomeri, posso confermare che in Alto Canavese il "cocomer" (pronuncia cucùmer ) è effettivamente il cetriolo. ---
Luciano Gabrielli.
--- Nell'alta Toscana (o almeno nella lucchesia, di cui io sono originario) con cocomero ci si riferiva, e ci si riferisce tutt'ora, al frutto del "cucumis citrullos". Sinonimo di cocomero è anguria (di etimologia bizantina), che all'epoca, era però poco usato anche se oggi lo è molto di più. Nel passato il cocomero diffuso in Toscana era solo quello verde e tondeggiante, adesso quasi introvabile essendo stato soppiantato dall'altro molto più voluminoso e striato di forma ovoidale. Con cetriolo ci si riferiva e ci si riferisce al frutto dell'altra cucurbitacea, la "cucumis sativus" di forma bislunga simile allo zucchino. Come si vede sia il cocomero, alias anguria, che il cetriolo sono frutti di cucurbitacee il cui nome latino contiene, per entrambi, il termine "cucumis". Non sono un esperto di etimologia, mi chiedo comunque se da questo fatto potrebbe essere stato originato il diverso significato dato alla parola cocomero in differenti parti d'Italia. ---
Maurizio Codogno.
--- Non possiamo rimanere insensibili al grido di dolore dell'Ottimo Fabbri.
Premesso che per me il nome del frutto rosso con tanti semi neri o a volte bianchi (citrullus lanatus) è sempre stato "anguria", e la scoperta che qualcuno lo chiamava "cocomero" è stata molto tarda;
Premesso che per me il nome dell'ortaggio che il Fabbri chiama "cetriolo" (cucumis sativus) è sempre stato "cetriolo";
Affermo che nel dialetto trevisano l'ortaggio in questione si è sempre chiamato "cucumero". D'altra parte, essendo il frutto "anguria", non c'era alcuna confusione. La cosa più divertente è che è vero che anguria e cetriolo sono entrambi cucurbitacee; però è più "vicino" al cetriolo il melone (cucumis melo).
Per completezza, mia moglie che è originaria di Genova chiama l'anguria "patéca". So che da qualche parte la chiamano "popone", ma non ho esperienze dirette :-)
P.S.: il tipo sferico verde un tempo lo coltivavano in Polesine, se non ricordo male, mentre il tipo allungato, se non arriva dall'Africa o da Israele, è tipicamente del sud Italia.
Francesca Mola.
--- Intrigata dallo sfiziosissimo tema del cocomero, non posso esimermi dal contribuire!
Confermo quanto riportato da Marco Marcon: sono sicura di aver sentito chiamare dai miei nonni, piemontesissimi, il cetriolo "cucumer", tant'è vero che ho sempre trovato singolare a Roma l'utilizzo del termine cocomero per indicare l'anguria. E fin qui... niente di nuovo... ma vi siete accorti che in inglese cetriolo si dice "cucumber", in francese "concombre", in olandese "komkommer" ( questa non è che la sapessi ma l'ho cercata sul dizionario)... curioso vero? Che si tratti di un francesismo assimilato nel piemontese che ha contaminato anche l'inglese e le lingue nordiche?
Ringrazio infine Luciano Gabrielli che mi ha aiutata a trovare il razionale dell'utilizzo del termine "citrone" per indicare l'anguria in dialetto abruzzese (cucumis citrullos) e forse anche a spiegare perchè chiamiamo "citrullo" una persona dotata, in senso figurato, di testa grossa ma vuota. ---
La Parolata.
--- Per la vostra curiosità, cetriolo in spagnolo e portoghese si dice "pepino" e in tedesco "Schälgurke".
Giovanni Fracasso.
--- Caro Curatore, anche il nonno Leardi (quello dell'Oltregiogo) chiamava "patèca" l'anguria. che peraltro il nonno leccese chiamava "melone d'acqua" proprio come gli inglesi (watermelon). ---
Caco
Frustalampi.
--- A Firenze (e credo solo a Firenze) i "cachi" (o pomi) - cioè a dire, dizionario alla mano, quei "frutti di forma sferica colore giallo arancio, con polpa molle dolcissima, che maturano in autunno" - sono chiamati diosperi. La parola "diòspero" o "diòspiro", indica una pianta del genere della famiglia delle Ebanacee cui appartengono l'ebano e, appunto, il cachi (Diospyrus kaki). Non si tratta quindi di un termine dialettale, bensì di un termine colto che i fiorentini usano per evitare poco piacevoli assonanze. Ma, come tutti i toscani, i fiorentini sbagliano in quanto confondono la pianta con il frutto come nel caso delle arance (da noi è normale chiedere un chilo di aranci o una spremuta di aranci!). ---
Cappelletti e tortellini
Cappelletti
Sono una pasta ripiena solitamente di formaggio, ma anche carne. Normalmente vengono cotti nel brodo. Sono realizzati a partire da un quadrato di pasta piegato su sé stesso a triangolo e di cui vengono poi congiunti i due vertici sulla diagonale a formare un anello, o qualcuno dice un ombelico. Sono originari della Romagna, delle Marche e di Perugia.
Cappellacci
Sono una pasta ripiena di zucca tipica di Ferrara, di forma simile al cappelletto ma più grande. Vengono mangiati asciutti.
Tortellini
Sono una pasta simile ai cappelletti con ripieno di carne, mortadella e formaggio. Sono cotti in brodo e sono originari di Bologna e Modena. I tortellini vengono anche preparati nella versione dolce, ripieni di marmellata, ricotta o cioccolata, e fritti nell'olio.
Cornetto
Pino De Noia.
--- Gentile Curatore,
oggi al bar un avventore che farà le vacanze a Briançon mi ha ripreso perché a suo dire chiedere un cornetto alla crema è dizione impropria. Meglio secondo lui sarebbe chiedere una brioche alla crema (e perché no una 'brioche a la creme', con tutti gli accenti e intonazione del caso?).
Ora, poiché questo avventore è un lettore della Parolata, nonché convinto sostenitore, e direi anche molto di più, ti chiedo di intervenire sul tema rimarcando che la Lingua Italiana in estate non va in vacanza.
---
La Parolata.
--- Caro Pino, innanzitutto non ho detto che sarebbe stato meglio dire brioche ma croissant.
Il fatto è che a Torino, dove si trovava il buon Pino, se non in tutto il Piemonte, il panino dolce a forma di mezzaluna si chiama croissant, mentre il termine cornetto richiama solo il gelato a cono industriale. Se non sbaglio a Milano lo stesso dolce viene chiamato brioche, mentre credo si chiami cornetto in tutto il resto d'Italia.
Detto ciò, una delle esperienze peggiori che possano capitare a un torinese è fare colazione a Roma e sentire chiedere al barista "un cappuccio e un cornetto". ---
Daniela Viezzer.
--- Volevo intervenire sulla golosa questione dei croissant ...
Io sono lombarda e devo dire che - personalmente - uso il termine croissant per indicare il dolce in questione. Anche a me il "cornetto" fa venire in mente solo il cono gelato. A Milano, penso che i termini croissant e brioche siano intercambiabili, ormai. Ma volendo essere proprio precisi e basandoci sulla definizione del dizionario della lingua italiana [...] bisognerebbe dire che il croissant è un tipo particolare di brioche , quindi in pratica nel grande "insieme" delle brioche esiste il sottoinsieme della famiglia dei croissant (che sono SEMPRE a mezzaluna, e possono essere salati, dolci, ripieni o vuoti). A questo punto - e qui concludo - vedendo una brioche a forma di mezzaluna sul bancone di un bar, sarebbe forse più appropriato chiamarla croissant .---
Fagiolini e piselli mangiatutto
Il nome piselli mangiatutto è inventato dalla Parolata, in realtà sembra che non abbiano un nome riconosciuto in tutta Italia.
Giovanni Fracasso.
--- Caro Curatore, non ho potuto fare a meno di ricordare quella volta in cui, bambino, dissi al mio nonno Alfredo, di origini leccesi (come anche peraltro è il nostro Pino), che quei vegetali che lui chiamava "fagiolini", venivano chiamati dall'altro mio nonno, Guido, di origini novesi, con il nome di "cornetti", Alfredo proruppe in una lunga, sardonica risata.
Ringrazio entrambi per aver fatto riaffiorare dalla notte dei tempi questo ricordo. ---
Giovanna Giordano.
--- Sono rimasta un po' sorpresa dal racconto di Fracasso, perchè a casa mia nonni e genitori, di origini miste francesi, cuneesi e canavesane, hanno sempre chiamato "fagiolini" i fagiolini e tacciato di terrone chi li chiamava "cornetti". È pur vero che, per chi veniva dalle alte valli, Novi risultava già in Terronia, con l'aggravante di chiamarsi anche Ligure, ma è anche vero che in Liguria ho sentito più volte parlare di "fagiolini". Prometto di continuare le indagini in zone limitrofe e di riportare fedelmente i risultati alla rubrica per contribuire ad una visione allargata dell'importante questione, nonché contribuire alla compilazione del dizionario gastronomico italiano-italiano. ---
Giovanni Fracasso.
--- 'tensiùn, caro Curatore e cara Valligiana, che il Novese è dotato delle seguenti caratteristiche sue proprie:
1. anzitutto non appartiene al Piemonte, né alla Liguria, ma al cosiddetto "Oltregiogo", regione geografico-linguistica (per non dire etnica) sita a nord del passo dei Giovi e a sud della temuta (dal Bonaparte) Frascheta;
2. è caratterizzato da enormi differenze di lingua, tradizioni, urbanistica, cucina tra comuni limitrofi;
3. un sacco di altre cose che non ci interessano, al momento.
Concentrandoci sull'aspetto linguistico, possiamo dire a titolo di esempio che:
- il dialetto novese (Novi Ligure, Pasturana, Tassarolo), come quello gaviese (Gavi Ligure, Voltaggio) è di chiara matrice ligure
- il dialetto tortonese (Tortona, Rivalta Scrivia, Villalvernia, Sarezzano, Cerreto Grue) è di chiara matrice lombarda
- il dialetto pozzolese (Pozzolo Formigaro e basta!) è incredibilmente di matrice emiliana.
[...] Esiste naturalmente anche un dotto dizionario Pozzolese-Italiano con note etimologiche, del quale sono in possesso, che può essere portato a supporto. Naturalmente in tutti i dialetti dell'area sono presenti varie contaminazioni (dal Piemontese, dal Genovese, dall'Italiano). Ad esempio, a Pozzolo si impreca dicendo "Belìn!", ma per dare dell'idiota a qualcuno gli si dice indifferentemente "Abelinà", "Belìna" o "Pirla". Del "Piciu" lì nessuno ha mai sentito parlare. Il tacchino si chiama "Tachèi", il bambino si chiama "fiùrèi" eccetera.
Il mio nonno materno, Guido Leardi, di antica stirpe genovese trapiantata nell'oltregiogo nel '600, apparteneva ai Leardi di Pozzolo Formigaro (esiste un Palazzo Leardi abitato dalla famiglia dal primo '700 alla seconda metà dell'800 ed una Casa Leardi, casa ancestrale dei miei avi materni, che ne recava lo stemma sul portone) e parlava, oltre all'Italiano, il dialetto pozzolese. Nel suo Italiano ha sempre chiamato i "fagiolini" con l'italianizzazione "cornetti" del termine dialettale pozzolese "curnèti", e come lui facevano praticamente tutti i pozzolesi della sua generazione. Mia nonna Melilla Zoni, di origine lombarda ma trapiantata prima in Liguria poi a Novi (il bisnonno era un capostazione di idee anarchiche, soggetto a frequenti trasferimenti...), infine a Pozzolo, parlava un dialetto decisamente diverso da quello di Nonno Guido e conseguentemente un Italiano diversamente contaminato. Ha sempre chiamato i fagiolini "fasulèini" in dialetto e "fagiolini" in italiano. Da ultima, mia madre, che chiama la verdura in questione "curnèti" in dialetto e "fagiolini" in italiano.
Ma io, che volevo far ridere Nonno Alfredo, quella volta usai la denominazione di Nonno Guido, il quale tra l'altro sosteneva che "laggiù" non avrebbe mai potuto sopravvivere, perché la terra di "laggiù" non è terra normale ma "terra pipina". Che cosa volesse dire con ciò, noi nipoti ce lo chiediamo ancora oggi, ma sappiamo che il nonno era un gran burlone... ---
Maurizio Codogno.
--- All'Esselunga i fagiolini li definiscono "fagiolini boby", e non ho mai capito se c'entrino qualcosa i cagnolini. Ciò detto, io sono di origine veneta e ho sempre detto "fagiolini", senza se e senza ma. ---
Gloria Trevisan.
--- I miei genitori (friulani) chiamano tegoline una specie di fagiolini larghi e piatti, il cui gusto è più o meno lo stesso. ---
Le tegoline di Gloria sono i piselli che nel nord Italia si chiamano anche taccole, come ci ricorda anche Marco Marcon.
--- Solo un dubbio: i "mangiatutto" non sono i piselli detti anche "taccole"? ---
Giovanni Fracasso.
--- Anche nel tormentato Oltregiogo le tegoline si chiamano taccole. ---
La Parolata.
--- Comincia a consolidarsi l'idea che le taccole e i fagiolini siano spesso confusi, pur se le taccole sono una varietà di piselli (Pisum sativum) mentre i fagiolini verdi o gialli sono una varietà di fagioli (Phaseolus vulgaris). ---
Giovanna Giordano.
--- Per il dizionario gastronomico, ho fatto una verifica con i parenti che vivono nei dintorni di Acqui Terme in direzione Sassello (lascio a Fracasso l'identificazione linguistica della zona): lì i fagiolini si chiamano "curnette", al femminile, diversamente dalla vicina Liguria, dove tornano ad essere fagiolini. Parlando con gli stessi parenti, ho appreso che i piselli non si chiamano "pois", stretti parenti dei francesi "pois verts" come nelle mie valli e a Torino, bensì "arbion" con l'accento sulla "o", che si pronuncia a metà tra la "o" e la "u". Niente a che fare con la perfida Albione e non so proprio a che cosa collegare questo vocabolo.
Infine, visto che si parla di "taccole", da noi si chiamano "gulu", parola tronca con la seconda "u" chiusa. Questo vocabolo viene usato dai miei genitori parlando correntemente in italiano: mai la mia mamma ordinerebbe taccole al mercato (quelle sono verdure da "napuli"!), ma sempre e solo "gulu", che hanno tutto un altro sapore e devono avere la buccia trasparente. ---
Francesca Mola.
--- Intrigata dal tema dei "fagiolini boby" sollevato tempo fa da Maurizio Codogno ho condotto una accurata inchiesta nel territorio romano.
Ho scoperto che nei supermercati romani i fagiolini verdi, comunemente chiamati "fagiolini", sono etichettati come "fagiolini bobis". Indagando ulteriormente ho realizzato che il nome non è scorretto, ma è esattamente il termine tecnico indicato nel registro delle varietà di specie ortive a cura del Ministero delle politiche agricole. Ovviamente non finisce qui... di varietà di fagiolini bobis ce n'è a iosa (a grano bianco, a grano nero eccetera).
Ho tentato anche la strada delle lingue straniere, ma mi sembra senza uscita, di fatto l'unica similitudine che ho trovato è quella con la parola spagnola bobo... che UDITE UDITE significa "citrullo"!!! A parte la coincidenza inquietante, non fornisce nessun indizio!
Sarebbe a questo punto interessante accertare se sia stato un valente botanico di nome Bobis ad aver dato il suo nome alla varietà... ma qui getto la spugna... ---
Frittella di pasta e schiacciata cotta alla piastra
Ci scrive il nostro Frustalampi.
--- Le frittelle di pasta che in Emilia sono conosciute come crescentine, in Toscana vengono chiamate donzelle o zonzelle o ficattole. ---
Giusto, si chiamano crescentine a Bologna, e anche gnocchi fritti a Modena, torte fritte a Parma e pinzini a Ferrara.
Invece le crescentine, o crescenti, a Modena sono le piccole focacce tradizionali, più comunemente chiamate tigelle dal nome dei dischi di terracotta utilizzati per cuocerle.
Marocchino
Michele Agresti.
--- In Puglia, ma credo anche in molte altre regioni del centro-sud Italia, il marocchino è semplicemente un cittadino del Marocco, non si usa chiederne uno al bar. Il termine equivalente è espressino. ---
Piero Fabbri.
--- Marocchino: mi sento di confermare l'ipotesi dell'Agresti: non mi sembra di aver mai sentito nominare il "marocchino" in Umbria. A parziale forse ulteriore conferma, indicherei che neanche le più prestigiose "macchinette da caffè" d'ufficio hanno mai esposto - per quanto ne so - tale scritta. E sì che sono spudorate, visto che non si vergognano di recare scritte glamour come "Cap-ciok" o "Moccaccino".
Ah, poi, per quel che può contare: quando lavoravo in Via Garibaldi [a Torino, N.d.R.], il bar sotto l'ufficio proponeva, oltre al "marocchino", anche l'"albanese" (credo ci fosse panna o crema e niente cioccolato), cavalcando un'evidente deriva xenofobo-barista. ---
Panzerotto
In Puglia si tratta di una pizza di piccole dimensioni che viene richiusa su sé stessa a forma di mezzaluna, ripiena di formaggio, pomodori e altro, e viene cotto fritto oppure al forno. Viene anche chiamato panzarotto.
In Veneto si tratta di pasta ripiena di formaggi a forma di mezzaluna e cucinata come i ravioli.
In Emilia Romagna i panzerotti sono crepe ripiene di ricotta e spinaci, di forma cilindrica e cotte al forno.
In Sicilia è un piccolo dolce di pasta ripiena, ripieno di crema e cotto al forno.
Peperoni nani verdi
I peperoni nani verdi sono una varietà di peperoni non piccante e vengono chiamati anche friggitelli dal Lazio in giù poiché si cucinano fritti.
Con questo nome vengono anche chiamati, italianizzandoli e storpiandoli, i friarielli napoletani. In questo caso si tratta di broccoletti con infiorescenze appena sviluppate, molto simili alle cime di rapa, che difficilmente si possono trovare fuori della Campania.
Pesce ballerino
Il pesce ballerino è detto anche pesce serra (Veneto, Venezia Giulia, Campania e Puglia), serra o pesce serra imperiale (Sicilia).
Si tratta di un pesce simile alla spigola ma meno pregiato, è presente ovunque e particolarmente nel Mediterraneo meridionale. Viene venduto a filetti, tranci, cotolette oppure intero.
Ravioli
Ravioli
Sono un piatto del centro-settentrione d'Italia. Si tratta di pasta ripiena di carne, formaggio o verdura. Sono formati da due quadrati di pasta sovrapposti e si cuociono in acqua calda.
In Alto Adige i ravioli con ripieno di spinaci e ricotta si chiamano Schlutzkrapfen.
In Polonia, Russia, Ucraina e Bielorussia i ravioli ripieni di carne o verdure si chiamano pirogi, o qualcosa di molto simiile.
Ravioli dolci
Pasta ripiena di ricotta, marmellata, purea frutta. Possono essere formati da due pezzi quadrati oppure circolari di pasta sovrapposti, oppure un pezzo di pasta circolare che viene ripiegato a metà su sè stesso. Normalmente vengono fritti, ma esistono anche preparazioni che prevedono la bollitura o la cottura in forno.
Tortelli
È il nome utilizzato in Emilia e in Romagna per indicare i ravioli.
Il tortello ripieno di zucca e amaretto è tipico di Mantova.
Agnolotti
Sono originari del Monferrato, in Piemonte, dove sono preparati con il ripieno di carne arrosto, oppure di Pavia, dove sono preparati con il ripieno di carne bollita o stracotta.
Una specialità piemontese sono gli agnolotti dal plin, degli agnolotti molto piccoli e preparati con un pizzicotto (plin, in piemontese) sul quadratino di pasta di ripiena di arrosto.
Un po' in tutta Italia i ravioli sono anche chiamati panzerotti.
Luciano Gabrielli.
--- Invio un piccolo contributo per il dizionario gastronomico italiano-italiano che riguarda una variante "locale" del nome, e non solo del nome, tortello.
I tortelli, che noi lucchesi chiamiamo "tordelli", sono fatti con la pasta ripiena di carne, parmigiano, uova e odori condito con un ricco ed abbondante ragù di carne. Assicuro che sono una prelibatezza unica diversa dagli altri tipici di diverse parti d'Italia. ---
Stefania Bavazzano.
--- I pansoti o pansotti, sono i ravioli tipici liguri e prendono il nome dalla forma un panciuta. Sono ripieni di un misto di erbe aromatiche chiamato preboggion.
Il termine "preboggion" potrebbe derivare dalla storiella che alcuni crociati di Goffredo di Buglione durante le soste delle marce raccogliessero le erbe per Buglione, appunto "pro Boggion", nel qual caso sarebbe un uomo e parola.
Una spiegazione più credibile del termine è che "pre" derivi da "per" con una trasposizione frequente nel dialetto genovese, mentre il vocabolo "bôggion" deriverebbe dall'antico "buglione", usato per indicare una moltitudine di cose diverse, da cui "in buglione" cioè "alla rinfusa", usato anche col significato di brodo. ---
Spigola
La spigola nel nord Italia è anche detta branzino, voce veneta derivata di branzo 'chela'.
E in Liguria è chiamata luasso, cioè lupaccio, per la sua voracità.
Torta di ceci
Vizi Coloniali.
--- Per la mia esperienza a Siena è sconosciuta (o almeno io non l'ho mai vista), a Pisa è cecìna e a Livorno torta. Curioso anche il fatto che a Livorno viene chiamato "cinque e cinque" il panino tondo morbido (focaccina, almeno a Pisa) con in mezzo la torta [di ceci, N.d.C.] (e una bella spolverata di pepe) perché pare che un tempo il costo fosse di 5 lire (o 5 centesimi?) la focaccia e altrettanto la torta. ---
Ultimo aggiornamento: 27 novembre 2010.