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Esercizi di omicidio, capitolo cinque

di Paolo Campia

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Il cielo cupo, il vento sferzante e l'odore intenso di salsedine salutarono l'arrivo del treno a La Gare du Havre. Moris era seduto vicino al finestrino, nello scompartimento vuoto. Non sono in molti a lasciare Parigi per venire in questa cittadina della Normandia in autunno inoltrato. Forse d'estate. Forse negli anni 30, quando Le Havre era una stazione balneare frequentata dai parigini di alto borgo. Non certo oggi, che è una città industriale, cresciuta attorno al porto - la sua vera risorsa - invasa dal cemento con il quale è stata praticamente ricostruita dopo la Guerra.
Il lungo viaggio - non gli avevano certo pagato il biglietto per il TGV - aveva dato modo a Moris di riflettere su ciò che aveva fatto e sopratutto su quello che avrebbe dovuto fare adesso.
C'era davvero da fidarsi di Jean-Luc? E dei vari Edmond e Vaughan? Lui non li conosceva; come ci si può fidare di chi non conosci. "Io il lavoro sporco l'ho fatto! - pensava Moris - Non è che adesso tocca a loro? Io non voglio fare la fine di Vinorov".
Il treno si era appena fermato e i pochi passeggeri si avviarono alle porte per scendere. Moris indossò il suo impermeabile, legandolo stretto in vita ed alzando il bavero, prese la sua valigia e scese dal treno con fare indifferente. Provò a mischiarsi nella solita confusione delle stazioni ferroviarie con l'unico obiettivo di raggiungere l'uscita senza incontrare Edmond.

Baptiste si aggirava svogliatamente fra i tavoli vuoti del Maman Maria, la pizzeria sul Boulevard de Montparnasse; era quasi l'alba e anche gli avventori più incalliti avevano ormai lasciato il locale.
La serranda era semi abbassata, Jean-Pierre in cucina stava togliendo gli ultimi piatti - no, forse erano solo bicchieri - dalla lavastoviglie mentre Letizia stava spazzando la sala; Baptiste si era seduto in posizione strategica, tutte le sere aspettava con ansia quel momento per godersi il sinuoso movimento della fanciulla.
All'improvviso due colpi ben assestati alla serranda risuonarono fragorosi nel locale.
- Ma chi c.o è che rompe ancora a quest'ora?! - gridò Baptiste - Jean-Pierre, va a vedere! - Il giovane si avviò alla porta e tirò su la serranda - Baptiste. Baptiste! BAPTISTE!!! - gridò Jean-Pierre - è per te!!
Vinorov entrò nel locale senza dire una parola, attraversò lentamente tutta la sala e arrivato al bancone ordinò - Vodka! - Letizia prese la bottiglia e ne versò un bicchiere, ma Sviatoslav la interruppe bruscamente - Lascia la bottiglia!

Moris stava vagando per la parte bassa della città alla ricerca di una pensione dove passare la notte. Procedeva con circospezione, facendo attenzione che nessuno lo seguisse. L'hotel Petite Fleur, in rue Emile Zola, sembrava fare il caso suo. Entrò e chiese una stanza per la notte, a nome Moris Luciani, nato a Saint Golain in provincia di Cuneo il 14 giugno del 1978. Chiunque stesse cercando in Le Havre un tal Bartolo, giunto da Parigi con il treno delle 18:15, avrebbe avuto vita difficile.
Raggiunse la camera 237, posò la valigia e si buttò sul letto. Svogliatamente si accese una sigaretta e allungò la mano per prendere il telecomando del piccolo televisore appeso al soffitto. Erano le 19:50 e i telegiornali delle maggiori reti nazionali non erano ancora iniziati. Dieci minuti dopo, l'umore di Moris era radicalmente mutato: France 2 apriva il suo telegiornale con la notizia dell'omicidio di Sviatoslav Vinorov, un faccendiere russo già conosciuto per alcuni operazioni finanziarie non proprio cristalline e l'intervista al sindaco di Parigi che rassicurava i cittadini sull'efficienza delle forze dell'ordine e sulla velocità dell'inchiesta. Non era da meno La Cinq, che mezz'ora più tardi riportava la notizia dell'omicidio di un rispettabile uomo d'affari russo e sottolineava il fatto che il commissario Maigret , responsabile dell'indagine, non avesse ancora elementi certi ed una pista da seguire, sebbene si stesse avvalendo anche dell'aiuto dell'IRCGN.
- Bel casino! - pensò Moris - quel Vinorov era un pezzo grosso.
Era sempre più convinto che non era il caso di andare in Irlanda, anzi, doveva nascondersi in un posto il più possibile tranquillo ed isolato. Il solito posto dove nessuno penserebbe mai di venirti a cercare: Saint Golain! Già, il suo paese natale, lontano dai fragori, dalle tentazioni e dai pericoli delle metropoli, come Parigi.

- Dov'è quel pivello? - ringhiò Vinorov non alzando neanche gli occhi dalla bottiglia di vodka appoggiata al bancone - Era solo un ragazzo, ma non ha esitato a piantarmi due pallottole in corpo! - Baptiste si alzò dalla sedia e si avvicinò al bancone. - Accidenti Sviatoslav, sei impazzito?! Cosa ci fai ancora a Parigi? - e aggiunse - Non erano questi i piani! Mi spieghi perchè fai sempre di testa tua?! - Vinorov aveva sempre apprezzato la schiettezza con cui il suo amico Baptiste Luciani esponeva i propri concetti quando era nervoso - Sta calmo. È tutto a posto. Ho incontrato alcuni amici, ricordi Bruno, il compaesano di mia madre? Mi ha trovato un posto sicuro, lontano da occhi e orecchie indiscrete.
- Bene - ribattè Baptiste - spero lontano da Parigi. e dalla Corsica! - Baptiste sapeva il suo locale era controllato e non voleva far correre a Sviatoslav, e a se stesso, rischi inutili. - Tranquillo, è in Italia, in un paesino sperso sulle Alpi. Saint Golain, si chiama, è il paese di mai madre. - Bevve l'ultimo sorso di vodka, diede un'occhiata di saluto a Letizia e salutò con una pacca sulla spalla il fidato Baptiste - Bada a te - disse - e trovami il pivello - Quindi uscì dal locale, dileguandosi nelle viuzze laterali del boulevard ancora deserte.

Era mezzogiorno e la giornata era particolarmente calda per essere novembre: il sole splendeva nel cielo terso e il panorama delle Alpi regalava sempre grandi emozioni anche a chi a Saint Golain ci è nato e vissuto. La messa delle 11:00 si era appena conclusa e i fedeli usciti dalla chiesa si fermavano a fare due chiacchiere sul sagrato della chiesa, come consuetudine. Tutti quelli che non erano a messa, erano in piazza a discutere del tempo, di calcio oppure delle piccole liti e pettegolezzi di paese che normalmente animano le discussioni al bar Sport.
Moris Luciani era fra i fedeli che uscivano dalla chiesa, sottobraccio a nonna Flora. Fin da quando era bambino la nonna lo accompagnava in Chiesa: prima a fare il chierichetto, poi venne il periodo del coro e quello degli scout, con le prime uscite ad Aosta, lontano dagli sguardi indiscreti dei suoi compaesani. Forse fu quella sensazione di libertà che spinse Moris a lasciare l'Italia tanti anni fa e trasferirsi a Parigi.
Si accese una sigaretta, salutò distrattamente la vicina di casa, scambiò due chiacchiere con i suoi vecchi amici, scese i gradini che dal sagrato portano alla piazza per riaccompagnare la nonna a casa. Movimenti, azioni, parole sempre uguali, sempre le stesse, ogni volta che tornava a casa. Ma quella non era una domenica qualunque, e questo Moris lo capì chiaramente quando incrociò, quasi per sbaglio, lo sguardo gelido di Sviatoslav Vinorov, seduto al tavolino del bar Sport con un bicchiere di vodka in mano.

 

Capitolo 6.

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