Logo ParolataPubblicato su www.parolata.it

 

Esercizi di omicidio, capitolo dieci

di Piero Fabbri

Utili Divertenti Letterarie Sparse Novità

Già quasi mezzogiorno, per la miseria. Lo sapevo che non dovevo prendere l'autobus, a quest'ora. Ma non posso mica farmi venire a prendere sotto casa dall'auto di servizio ogni santo giorno, e oggi, poi... già ci stanno addosso giornali e telegiornali, ci manca solo un bel servizio sui commissari che si fanno venire a prendere a domicilio dall'appuntato per i loro porci comodi, anzi per andare a lavorare. E all'ora di pranzo, perdipiù... figuriamoci, roba da farci un pezzo di colore per Paris Soir e una mezza inchiesta su Paris Match. E poi via, inutile far finta di niente: non potevo certo chiamare Delacroix e farlo venire a prendermi sotto casa dell'ispettore Borel, no? Anche se le chiacchiere di corridoio faranno il loro rituale dovere nel giro di un amen, non era proprio il caso di mettere subito in piazza la cosa. E quell'idea di fare due isolati a piedi per farsi venire a prendere in un posto sufficientemente anonimo era una scemenza, questo è pacifico. No, meglio quattro passi e l'autobus, diamine. Molto meglio; magari sentire e vedere la folla che corre a piedi, in bici o sui mezzi pubblici riesce a farmi ricordare cosa vuol dire lavorare davvero.

Però cavolo, proprio questa linea... non c'è ora della giornata in cui non trabocchi di persone, questa fottutissima S. Volevo tenermi nelle narici ancora un po' l'odore del bagnoschiuma di Isabelle, quello alla vaniglia, che le ho rubato in doccia stamattina. Ma poi no, che tanto era già andato via, quel profumo, quello che volevo davvero tenere era proprio il profumo di Isabelle, quello vero di lei, altro che bagnoschiuma. Quello che le ho preso dopo la doccia, mietuto centimetro per centimetro, dal collo alla spina dorsale, dalla schiena alla... Ahia! Ma per la miseria, che cavolo ha da spingere, quest'imbecille, ora? E mi guarda incazzato, pure, come se fossi stato io a conficcargli il gomito tra la quarta e la quinta costola! Adesso lo piglio e lo faccio volare dal finestrino, se continua con questa cantilena lamentosa, dall'accento straniero; oppure gli sbatto direttamente il distintivo da poliziotto sotto il naso, sempre che riesca a farlo risalire lungo tutto quel collo da giraffone, lo accuso di borseggio, lo sputtano in pubblico, e magari gli faccio pure passare una notte in guardina. Del resto, un po' di galera dovrebbero dargliela anche solo per il cappello che porta.

Fesseria. Ho fatto una fesseria, altro che idea brillante e progressista, quella di prendere l'autobus. Non ci sono più abituato, a dire il vero non ho mai avuto occasione di abituarmi, a queste cose. Altro che odore di vaniglia, altro che odore di Isabelle, sono salito da cinque minuti e già non ne posso più. Sento solo puzza di sudore e di cani, anche se di cane non vedo manco l'ombra. Sudore francese, italiano, marocchino; puzze che si miscelano in modo democratico e antirazzista, producendo un tanfo umanitario e vomitevole. Questo giraffone si è fiondato a sedere sull'unico posto libero - senza trascurare di darmi due pestoni mentre raggiungeva il sedile - e adesso posso notare l'abominio del suo cappello floscio dall'alto in basso: niente nastro, solo una cordicella. Buffo, il modo in cui è intrecciata mi ricorda Louise, compagna di prima elementare, e la treccia bionda, sottile sottile e lunghissima. Aveva un sacco di capelli, eppure la treccia che li raccoglieva si riduceva ad uno spessore irrisorio, poco più grande di questa cordicella da cappello. Ma almeno Louise aveva i capelli puliti, sua madre glieli lavava e spazzolava ogni mattina, mentre questo tizio dal collo lungo (come se glielo avessero tirato) ha un cappello lurido, unto, e la cordicella sembra avere la stessa consistenza dello sporco accumulato da anni, come quello sotto il frigorifero. Meglio scendere, manca solo una fermata, non ho più voglia di sentire questa puzza e vedere questo schifo.

Fuori, fuori, finalmente. E il commissariato è già in vista, dannazione, là proprio in mezzo alla Senna. Un gran bel posto, niente da dire, una location da urlo, direbbero gli americani. Condividere l'isola con Notre Dame e l'isolato con la Sainte Chapelle , quanti altri posti di lavoro possono dire altrettanto? È come se Scotland Yard fosse di fronte all'Abbazia di Westminster, e poi forse non basterebbe lo stesso. È davvero un gran bel posto dove lavorare, a vederlo da fuori. Ma è vederlo da dentro, che non ho voglia. E allora chissenefrega, non entro. Tanto è ormai ora di pranzo, che faccio, entro a mezzogiorno e mezzo ed esco all'una? No, non se ne parla. E poi sono il commissario, vabbè il vice-commissario, ma a chi devo rendere conto, in fin dei conti? Ai contribuenti francesi? Io adesso resto qui, guardo se per caso si fa vedere quello schianto di Lucille - perdinci, che razza d'archivista, che è! Mi sarò anche tolto la voglia di vedere come fosse fatta questa missfrance, ma per una voglia che mi sono tolto me ne sono arrivate addosso un sacco d'altre - e se appena appena osa mettere il nasino fuori dal portone della questura la sequestro al volo per un pranzo di lavoro. Ma no, è troppo presto, ancora. Tanto vale farsi un altro giro, a piedi però, e mangiare da solo.

Sì, tanto vale godersi il sole, per una volta. Girare dietro Les Halles, o magari percorrere la zona hausmanniana della città. È una vita che devo fare un giro alla Samaritaine o alle Galeries Lafayette, non ho più una cravatta decente. E un panino dietro l'Opera, con un bicchiere di vino passabile, è sempre molto meglio della mensa della polizia. E poi ancora in giro, se ne avrò voglia, perché se uno sta indagando su un omicidio non è mica che non lavori, quando va in giro per la città. Si ragiona meglio per strada o dietro una scrivania ingombra di cartacce, di telefoni che squillano, di rotture di scatole? Da qui, da questo tavolino posso vedere Parigi che rallenta sprofondando in questo lento dopopranzo; perfino il traffico sembra rarefarsi. Il Cour de Rome, sempre così affollato, sembra tirare un sospiro lento, alle due del pomeriggio; e la Gare Saint Lazare non potrà certo tornare ai colori pastello e ai fumi del quadro di Monet, ma guardala, com'è calma, adesso, in questo pomeriggio quasi non ancora incominciato.

E fa ridere, vedere quelle due checche che si guardano negli occhi. Tempo quasi sospeso, la città ferma, e loro due così, a passarsi le mani sulle guance, forse non si vedono da mesi, chissà. Facce seminascoste dai cappelli, quello alto con un cappello floscio, quello più piccolo con un berretto che sembra da fantino, e anche il resto degli abiti, a ben vedere... Si alza sulla punta dei piedi, mostra un bottone all'amico alto, gli dice probabilmente che ne dovrebbe aggiungere uno anche lì, all'altezza della sciancratura. Quello alto col cappello floscio sorride, risponde, si china, e gli dà un bacio sulle labbra. Cavolo, che strana coppia. Non perché siano gay, ma per come si mescolano le immagini, le luci delle due figure: quello piccolo vitale, entusiasta, quasi elettrico, e quello alto dal cappello floscio invece ha l'aria stanca, fuggitiva, sporca.

Sporca?
Cristo santo, certo che ha l'aria sporca! È proprio lui, il giraffone della S! Solo che a vederlo adesso, da lontano, più che sporco sembra disperato, più che scortese sembra spaventato, più che antipatico sembra solo perduto dentro gli occhi del suo amico basso vestito da fantino.
Che poi, guarda, è davvero troppo effeminato, incastrato in quella tenuta così stretta e aderente. Ha un sedere da donna, spalle piccole, e da quel poco che si può sentire probabilmente parla anche in falsetto, da femminello. Però ha un bel sorriso, lo si vede perfino da quaggiù. Gli tocca di nuovo le labbra, chissà che gli dice, mentre sorride così.

E poi il sole fa definitivamente sparire le ultime nuvole, e la temperatura sembra salire all'istante, senza preavviso. La checca alta indica il cielo e il sole alla checca piccola, che, in risposta, si tira via il berretto da fantino. Così facendo, libera una selva di capelli biondi e lunghi, che le ricadono sulle spalle morbidi, come nelle pubblicità degli shampoo. Buffo come basti un dettaglio, a volte, a rivelare tutti gli altri particolari che, per quanto evidenti, fino ad un istante prima erano rimasti muti. I capelli biondi e lunghi urlano "femmina!" agli occhi di Maigret, circondano il sorriso che era già bello da gay e che adesso esplode di fascino eterosessuale: il falsetto diventa una limpida voce da contralto, i pantaloni aderenti rivelano non più un maschietto non troppo alto ma una gran bella donna senza tacchi. E tutte queste cose insieme rivelavano senza alcun dubbio l'identità di Lucille, miss France, archivista e poliziotta, che adesso baciava senza pudore né ritegno lo zotico della S.

Che poi, adesso che anche lui lascia cadere il capello sporco e floscio, adesso che non si cura di raccogliere il copricapo senza nastro e con la cordicella lurida che le aveva ricordato la treccia sottile di Louise, adesso anche lui è ben riconoscibile. Le ha già ben memorizzate, il commissario, quelle foto che gli ha passato l'Interpol, quelle foto che arrivano da Saint-Golan. Questo bacio di fronte alla stazione che meriterebbe l'obiettivo di un Doisneau e non le retine d'uno sbirro, questo tizio che Missfrance Poliziotta sta baciando come se fosse ad un tempo la prima e l'ultima volta, questo fortunato mortale che stringe tra le braccia un intero cantico di primavera...
... questo qui, di fronte alla Gare Saint-Lazare, è l'assassino che stiamo cercando come disperati da giorni.

 

Capitolo 11.

Parolata.it è a cura di Carlo Cinato.
Creative Commons License La Parolata e i suoi contenuti sono pubblicati sotto licenza Creative Commons.