Sembrava essere nata in un'altra epoca e che una ipotetica macchina del tempo l'avesse fatta catapultare nel ventesimo secolo. Era figlia della società rurale nella quale viveva poichè incarnava sogni e desideri dal sapore antico. Assunta aveva sempre sognato di diventare la moglie devota di un buon uomo del paese. Non le importava se questo fosse stato giovane e bello come invece speravano le sue cugine o le sue amiche. L'importante era che la persona in questione le volesse un bene profondo e si augurava di riuscire ad amarlo con lo stesso ardore di donna innamorata. A volte si metteva a guardare di nascosto da dietro la finestra i ragazzi che gironzolavano senza meta per le strade di Avigliano.
- Embè? Che stai facendo? C'è da fare il bucato, - la esortava la sorella maggiore vedendola con la testa fra le nuvole. - Oggi è davvero una bella giornata, - le rispondeva allontandosi furtivamente.
- Si, adesso si chiama bella giornata! -
Credeva fermamente che la vita fosse un dono di Dio e che dovesse essere sempre rispettata ed amata nonostante le avversità che potessero capitare. Da bambina passava i pomeriggi liberi all'oratorio della chiesa principale del paese in compagnia delle sue amiche più care. Lì trascorreva il tempo dedicandosi al cucito e al ricamo che le suore le insegnavano con soddisfazione. Voleva diventare una brava casalinga e magari dedicarsi all'attività di sarta nei momenti di attesa del suo uomo di ritorno dal lavoro. A volte trascorreva le serate recitando il rosario, in compagnia della nonna materna e in cuor suo perdonava le malefatte di suo fratellino minore che si divertiva a prendere in giro la vecchietta.
- A nonna, sveglia! - le diceva Alberto saltandole sul grembo e tirandole le orecchie.
- Che succede, cos'è, Maronna Santa! - La nonna infatti spesso si addormentava e suscitava una forte ilarità nel ragazzino.
Ma i suoi sogni di ragazza innocente incontrarono la fine quando nel suo cammino trovarono l'uomo che l'aspettava al crocevia della morte. Il suo spirito sarebbe stato trafitto, vilipeso, denudato dai suoi principi che albergavano nella mente di semplice ragazza di campagna.
Luigi Brienza era tutt'altro che bello, ma era affascinante. Era pieno di sè e affamato di possesso, e agiva al fine di soddisfare i suoi desideri più morbosi. Voleva dimostrare la sua autorità, imporre il suo dominio nei confronti del prossimo. La sua arroganza avrebbe schiacciato anche l'uomo più autorevole. Non era affatto un intimo amico di Assunta sebbene abitasse a pochi isolati dalla masseria. Al contrario amava stuzzicare Alberto, il fratello della ragazza che aveva solo nove anni, il quale lo considerava quasi un eroe. Una sera gli aveva fatto assistere ad una scena raccapricciante.
- Ehi, guaglione! Guarda che ti fa vedere Luigi... e soprattutto impara! - aveva preso per gioco o per noia un gatto gracile e macilento. Lo aveva impiccato lasciandolo agonizzante appeso ad un albero. Il ragazzino era rimasto turbato da quella scena ed eccitato al tempo stesso. Aveva visto la morte comparire nello sguardo dell'animaletto indifeso. Sembrava che invocasse un aiuto superiore che lo liberasse da quella stretta.
- Così fanno la fine i pacci che osano sfidarmi, - mentre diceva ciò, lo aveva costretto a guardare facendogli girare con forza la testa e sollevandogli le palpebre con gli indici delle mani per impedire che lui chiudesse gli occhi.
- Vedi come sta schiattando la bestia! Dai, che così ti fai uomo. Non vorrai mica essere una femmina? - Luigi si divertiva alle spalle del ragazzino e provava un senso di sadica soddisfazione ogni volta che lo stuzzicava.
Un giorno Alberto, mentre ritornava da una delle sue bravate con Luigi, portò un'arma che gli aveva dato Luigi. Era una lupara, proprio come quella che di solito usava il nonno quando andava a caccia nella sua regione di provenienza, la Sicilia. Nei ricordi di Alberto viveva l'immagine del vecchio con la coppola che se ne andava all'alba per una battuta e ritornava sempre con qualche fagiano ucciso. A lui piaceva molto mangiare le prede del nonno. Il ragazzino si sentiva fiero di lui e delle sue imprese che spesso gli raccontava la sera accanto al fuoco. Talvolta Assunta si univa a loro e, tralasciando per un attimo le faccende domestiche, ascoltava i discorsi un pò strampalati del vecchio. Entrambi erano infatuati del nonno e la ragazza vedeva in lui l'esempio di un grande amore che lo aveva condotto ad Avigliano per seguire la nonna. Si erano conosciuti tramite il parroco di Partanna, in Sicilia, che organizzava matrimoni tra gli scapoli del paese e ragazze calabresi e lucane. I due giovani si facevano scrivere le lettere, essendo entrambi analfabeti, e si erano subito piaciuti. Erano lettere semplici e tenere, come quelle che un fratello potrebbe scrivere ad una sorella prediletta. Poi lui era emigrato in Lucania per diventare un buon padre di famiglia. Ora il nonno non c'era più: aveva lasciato questo mondo un anno prima per un arresto cardiaco. Ora c'era una lupara e i ricordi dei ragazzi si intensificarono, anche se l'arma non apparteneva al padre di sua madre.
E così Alberto ritornò a casa e la puntò in direzione di Assunta che in quel momento stava lavando i piatti.
- Adesso ti impallino tutta quanta, - disse scherzando suo fratello creando il panico nella ragazza. L'arma era carica e un senso di mancamento la colse all'improvviso.
- Smettila! Smettila! Ma che sei ciuoto? - Con gli occhi sbarrati lo guardava terrorizzata. Non che suo fratello premesse il grilletto all'improvviso volutamente, quanto al fatto che un colpo potesse partire in maniera accidentale.
- Basta! È ora di finirla con quel degenerato. - Era al corrente di tutte le angherie e i soprusi che Alberto era costretto a subire.
- Gli vado a parlare, una volta per tutte si deve togliere dai piedi, - disse risoluta anche se sapeva che Luigi non avrebbe preso in considerazione una donna. Si mise lo scialle addosso e uscì di casa sotto gli occhi sbigottiti della sorella.
- Paccia! Sei una paccia!, Ma dove vai! E cosa dirà la gente? -
Faceva davvero freddo e l'aria pungente aveva arrossato ancora di più il suo volto arrabbiato. Arrivò nei pressi di una vecchia casa pericolante adibita da temporaneo rifugio. Luigi rimase piuttosto sorpreso e al tempo stesso compiaciuto. Gli sembrava che fosse arrivata la manna dal cielo. Non era molto lucido in quel momento. Emanava un forte odore di alcool e di sudore. Un fremito di paura le pervase il corpo quando i loro occhi si incontrarono. Luigi aveva un ghigno stampato sulla faccia butterata dall'acne. Già da lungo tempo aveva adocchiato Assunta che si era fatta formosa e conturbante. La bambina era cresciuta e una splendida donna aveva preso il suo posto.
- Tesoro, vuoi assaggiare il mio "arnese"? - Le si avventò contro con un coltello a serramanico, quasi conficcandoglielo in gola. La ragazza cercò con forza di urlare nella speranza di attirare l'attenzione di qualcuno. Il suo cuore pulsava come una pompa che dovesse prosciugarla tutta quanta. Provò un senso di disgusto e di vomito. Liberò la sua repulsione rigettandogli addosso il cibo proprio nel momento che Luigi stava denudandosi con una certa fatica. Ma ebbe la forza di liberarsi da quella stretta strappandogli il coltello dalle mani e tagliandogli il braccio sinistro. Con le gambe tremanti riuscì ad aprire la porta di quella casa e fuggire via, lontano da Luigi che la malediva per essersi ribellata con tanto furore. La mattina del giorno dopo venne ritrovata semisvestita e in stato di completa prostrazione in mezzo alla campagna nei pressi di un vecchio mulino abbandonato. Sputava sangue e saliva. I contadini che la soccorsero, la condussero all'ospedale di Potenza dove capirono che era stata aggredita.
Da quel momento la sua vita non sembrò essere più la stessa. Si rinchiuse in casa e non volle vedere più nessuno. Ora credeva nella cattiveria delle persone, come se fossero state figlie di un essere abominevole e sudicio. Un vuoto incolmabile la stava devastando come se una lama d'acciaio l'avesse penetrata ed un macellaio si fosse preso l'impegno di estrarre le budella sanguinanti dal proprio involucro. Si sentiva come se fosse stata indotta a pagare i peccati commessi per tutta la vita. Errori non voluti che sarebbero durati fino al momento dell'esalazione dell'ultimo respiro. La sorte le aveva voltato le spalle e l'aveva condotta in un tunnel da dove difficilmente sarebbe uscita fuori. Tutti i suoi sogni ingenui verso i quali aveva riposto le sue speranze erano evaporati sotto il sole cocente della realtà.
- Sei una poco di buono. Se Luigi ti ha toccata è perchè gli hai fatto capire qualcosa. Le donne non escono la sera e vanno a casa degli uomini, - Francesca rigirava sempre il coltello nella piaga.
-Smettila, per favore! Tu non sai... - le rispondeva Assunta provando una fitta di dolore proprio in quella ferita. Non se la sentiva di denunciarlo alla Polizia perchè non credeva nelle autorità. Sapeva che l'avrebbe fatta franca. Non aveva prove contro di lui e nessuno si sarebbe permesso o, semplicemente, preso il fastidio di testimoniare a favore di Assunta, di una donna. Quello che le restava era un senso di svilimento che l'avrebbe accompagnata per lungo tempo. Ben presto però un altro uomo entrò a far parte della sua vita che sembrava già segnata da un destino infido.
Mentre si trovava a casa della zia a Potenza, Giuseppe Brienza si impegnava affinchè le sue aspettative di diventare un bravo medico si realizzassero. Studiava e lavorava incessantemente nella volontà di riuscire a cambiare la propria vita e quella dei suoi genitori. Fisicamente non era più alto e più bello di Luigi, ma emanava una calma e una tranquillità interiore che lo facevano amare da chi gli stava vicino. Era piuttosto paffuto, tarchiato come tutti i fratelli Brienza che sembravano fatti con lo stampino. Ma aveva un sorriso dolce come il miele che metteva un senso di agio a chi lo guardava. Voleva iscriversi alla facoltà di medicina con specializzazione in neuropsichiatria infantile. Sarebbe partito per Roma di lì a breve nella speranza di riuscire a realizzare i propri sogni. Non voleva diventare un semplice medico generico. Desiderava conoscere i meandri della mente umana che gli sembravano misteriosi e complessi.
- Siamo delle mine vaganti, delle bombe ad orologeria e qualche volta togliamo la sicura. -
- Beato te, Giuseppe, che non hai niente a che pensare - gli rispondeva il suo capo e amico scalpellino che lo guardava con aria incerta. Giuseppe voleva conoscere che cosa passasse in testa alla gente e a suo fratello Luigi. Gli voleva bene perchè in fondo erano fatti dello stesso sangue ma non accettava i suoi modi di agire da delinquente. Quasi si vergognava di portare il suo stesso cognome ma voleva aiutarlo e cercare di redimerlo. Voleva comprendere le motivazioni per le quali suo fratello si comportasse da degenerato. Temeva di fallire nella sua impresa, che Luigi fosse un caso disperato e incomprensibile.
Conosceva da una vita Francesca, la sorella maggiore di Assunta. Aveva frequentato saltuariamente il bar tabacchi dove la ragazza dava una mano alla padrona. Una volta vide una bella ragazza mora in piedi al bancone del bar Sport che beveva un bicchiere di whisky. La bottiglia era semivuota e la ragazza fumava incessantemente diverse sigarette che accendeva una di seguito all'altra. Portava un vestito color porpora scollacciato che mostrava il suo petto abbondante.
- Ma chi è la ragazza con quell'aria disperata - chiese Giuseppe perplesso. - Non lo sa che le fa male bere in quel modo? -
- È mia sorella, non te la ricordi? lo so... è un problema con due gambe, - le si avvicinò per parlarle ma lei lo guardò un attimo per recarsi all'uscita del locale. Non voleva scocciature di nessun genere e tanto meno da un ometto dall'aria buffa ma di rimprovero. Giuseppe, a sua volta, rimase incuriosito e colpito da Assunta. Si ricordava di lei mentre diversi anni prima giocava con le sue sorelle. Non poteva credere ai suoi occhi che fosse diventata così attraente. Già da piccolino aveva perso la testa per lei dicendo a tutti che da grande avrebbe sposato la bella Assuntina. In seguito la vita li aveva condotti lungo strade separate facendoli perdere di vista. Giuseppe con i suoi infaticabili studi e il lavoro, ed Assunta a lavorare in casa e frequentare chiesa. Non sapeva se poteva esserle d'aiuto in qualche cosa.
- Ma che ha tua sorella? -
- Non ha niente. È solo un pò stanca, - disse Francesca con circospezione.
"Possibile che non sappia? Possibile che faccia finta di nulla? Non credo che lo ignori. Se ne parla dappertutto. È un gran signore" si domandava la ragazza riferita alla triste vicenda di Assunta, mentre osservava Giuseppe a sua volta pensieroso.
I giorni passarono lentamente e arrivò l'autunno. La natura si arricchiva di colori e profumi che inebriavano lo spirito nonostante l'arrivo preannunciato delle piogge. Giuseppe decise di riallacciare i rapporti con quella singolare ragazza un po' alticcia e piuttosto angosciata. Gli piaceva quella donna, aveva l'aspetto di un bocciolo appassito, almeno così gli sembrava. Un fremito lo pervase dalla testa ai piedi, qualcosa di rinnovato ed inusuale stava facendo capolino quasi per la prima volta nella sua vita. Quella notte la sognò nuda che ammiccava a due uomini seduta in un prato, come il celebre quadro di Manet. Uno dei due uomini era lui che si ritrovò a fare appassionatamente l'amore con la ragazza drogato dal suo aroma di rose appena raccolte. Si svegliò in piena notte con le lenzuola bagnate e con un desiderio non appagato di lei. Giuseppe aveva bisogno di una donna e non poteva non soddisfare il suo spirito da buon samaritano che aveva sempre caratterizzato la sua vita. Quello che cercava in quella avvenente ragazza era qualcosa che non riusciva a controllare. Sorrideva di sé stesso per ciò che stava per realizzare. Non era abituato ad abbordare le ragazze e si trovava a disagio a cercare di parlare con Assunta. Voleva rinnovare la sua conoscenza e temeva qualcosa di indefinto, qualcosa che non riusciva a percepire nella sua parte razionale. Tuttavia decise di frequentare più assiduamente il bar, per quel poco tempo a disposizione che gli restava, nella speranza di poterla incontrare di nuovo. Cercò un primo approccio attraverso la sorella, poi un altro e un altro ancora.
- Ma che vuole questo Giuseppe, - Assunta disse una volta alla sorella mentre passava la ramazza per tutto il pavimento del bar.
- Mi sa che gli piaci, - le rispose Francesca con una risatina complice.
- Ma cosa stai dicendo, io non me ne sono accorta - e un certo rossore alle gote fece la sua comparsa.
- Nooo? -
Anche se ripeteva alla sorella di non sapere come toglierselo dalle scatole, in cuor suo si sentiva piuttosto lusingata. Era interessata a quel ragazzo bruno con quella sua aria distratta e gli occhialetti che gli conferivano un espressione intellettuale. All'inizio era diventata un'abitudine recarsi al bar e trovarlo lì al solito posto che l'aspettava. Con il passare del tempo l'abitudine si era trasformata in speranza, e il posto della speranza ben presto venne preso da un interesse e un desiderio sempre più curioso.
Giuseppe, sebbene vivesse a Potenza, trovava mille scuse per ritornare al paese. Le portava sempre dei mazzi fiori e piante di ogni genere, che a lei piacevano tanto.
- Ti ho portato i crisantemi, questa volta.
- Mi hai preso per una tomba, Giuseppe? - gli disse una volta, con tono che voleva nascondere il suo entusiasmo. Giuseppe rimase piuttosto impacciato quando la ragazza gli si avvicinò per abbracciarlo. Le avrebbe voluto dare un bacio appassionato, ma non se la sentiva di far trapelare ciò che anche lei non conosceva. E così le giornate di Assunta diventarono sempre meno vuote. Ogni sabato e domenica il futuro dottore la veniva a trovare al paese con l'intenzione di passare più tempo possibile in sua compagnia. Stava anche incominciando a trascurare i suoi studi per amore della sua amica più cara e la sua mente vagava per altri lidi ed altre prospettive che fino ad allora erano risultati impensabili. Qualche volta si metteva a scrivere delle poesie sperando di avere la possibilità di fargliele racapitare. Come quel giorno in cui decise di mandarle una sua composizione da Potenza. Assunta la lesse e si sentì presa da un certo turbamento.
Vedo, nella mente mia è una donna.
Corrosa dallo scorrer senza requie
e del tempo e delle promesse belle
di un mondo fiorito non mantenute...
- Cosa hai in mano? - le chiese incuriosita sua sorella.
- Oh, la solita pubblicità. -
- Ma non mi sembra la "solità pubblicità". -
- Perchè devi sempre dubitare ciò che dico? Se ti ho detto che è la pubblicità, allora vuol dire che è pubblicità! - Sebbene fosse stata rispettosa con tutti fino al momento del tentativo di violenza, aveva avuto sempre un atteggiamento scostante nei confronti di Francesca. La infastidiva la sua curiosità e il senso di protezione da sorella maggiore pronta a dire sempre la sua parola. Avrebbe voluto in quei momenti essere lasciata in pace. Voleva restare sola con i pensieri, proprio in quel momento che sentiva come se lui avesse letto nel suo cuore. La ferita era ancora aperta ma un unguento balsamico era stato cosparso. Delle lacrime di gioia bagnarono le sue guance. Aveva ricominciato a sorridere.
Se prima la ragazza non chiedeva più nulla alla vita, adesso le sembrava che la vita stessa le avesse strizzato un occhio. Si domandava spesse volte se fosse stata una semplice infatuazione oppure se si stava lentamente innamorando. Erano pensieri che le balenavano nella mente diverse volte al giorno e che stavano sostituendo l'angoscia dominante. Sperava nella realizzazione di questo desiderio anche se credeva che lui volesse, fra le altre cose, fare pace con se stesso. Giuseppe aveva saputo di cosa era stato capace di compiere suo fratello Luigi e si era vergognato di portare il nome Brienza. Glielo aveva confessato una volta Assunta nel tentativo di scaricare le proprie ansie e paure. Si trovavano seduti nei pressi di un pagliaio a rimirare le forme delle nuvole nel cielo infuocato del primo pomeriggio, in compagnia dei vivaci nipotini di Assunta.
- Sai, al paese dicono certe cose su di te... ma che hai, angelo mio. Ti vedo turbata... -
- Tuo fratello, mannaggia a quel porco! -
La ragazza non riuscì a trattenersi e scoppiò in lacrime. In precendenza lui non ci aveva creduto alla chiacchiere della gente e aveva chiesto conferma al fratello che rimase imperscrutabile ai suoi occhi.
- Non credo alle mie orecchie eppure so che è vero. Conosco mio fratello e inoltre so che non mi mentiresti mai. Mi sento un essere ignobile per causa sua. Mio povero uccellino, mi sento così sporco. Mi vergogno per lui e per il male che ti ha fatto. -
Una sensazione di schifo e repellenza lo percosse come una randellata allo stomaco. E così anche lui vomitò tutta quell'angoscia, frustrazione ed impotenza che aveva caratterizzato la vita di Assunta fino a quel momento. Odiava suo fratello con tutta l'anima che gli era rimasta. E sentiva di appartenere a quella ragazza che solo un segno del destino aveva fatto entrare nella sua vita. Voleva aiutarla a riscattarsi e credeva in quel momento di amarla come un bene prezioso ed irrinunciabile. Decisero di mettersi insieme dopo non molte insistenze da parte di Giuseppe. Un bacio furtivo sotto gli occhi dei bambini suggellò quell'inizio di unione tra due persone che in un certo qual modo risultavano sole e disperate. Lui le voleva bene e lei credeva che lo avrebbe corrisposto con affetto sincero e stima senza aspirare all'ardore di bambina innocente. Non aveva nulla da perdere ormai e molto da guadagnare, così pensava la ragazza alle soglie di una vita migliore.
Una grande festa accompagnò il fidanzamento dei due ragazzi. Mezzo paese venne invitato a quell'abbondante banchetto a base di selvaggina della più prelibata. Persino un'orchestrina venne contattata e, per la prima volta, Giuseppe ballò con lei sotto gli occhi benevoli dei parenti. Era stata dura organizzare la festa a causa delle titubanze di Assunta. Inizialmente non se la sentiva di rivedere Luigi che le sembrava un avvoltoio pronto per attaccare di nuovo la sua preda.
- Giuseppe, verrà tuo fratello? - non sapeva come esprimere la sua inquietudine.
- Farò in modo che il fidanzamento avvenga durante una delle sue crociere, - le chiamava in questo modo le latitanze del fratello fra una camera da letto e l'altra di una delle sue nuove o vecchie conquiste. La ragazza gli sorrise anche sentiva di stare lei stessa in una situazione molto precaria.
- Ti amo, lo sai? -
- Certo che lo so Giuseppe, ti amo anch'io. -
- Non voglio assolutamente che tu venga a contatto con Luigi. Ti proteggero per il resto della vita o fino a quando la vita stessa me lo consentirà. -
- Credo che sia giunta l'ora di mettere una fine a questo capitolo, non lo pensi anche tu? -
Pubblicato il 16 dicembre 2008.