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Le figure retoriche per tutti

Utili Divertenti Letterarie Sparse Novità

Una raccolta di figure retoriche ad uso e consumo dei lettori.

Accumulaziòne

Voce dotta, latino tardo accumulatione(m), da accumulare 'accumulare'.
È detta anche congeries, dal latino congerie(m), derivato di congerere 'mettere insieme, accumulare'.
Insieme alla ripetizione è un procedimento dell'amplificazione e consiste nell'elencazione in modo ordinato e coerente oppure in modo caotico e casuale di più parole, immagini o aggettivi non ripetuti in modo da trasmettere un'idea o immagine complessiva.
L'accumulazione si dice coordinante se accosta elementi con la stessa funzione sintattica, in questo caso può essere enumerazione, distribuzione, climax o anticlimax; oppure si dice subordinante se accosta elementi legati tra di loro da un rapporto di subordinazione sintattica.

Arene gemmee come
tritume di gemme, ceppaie
d'alghe
, chiari coralli
fuchi di porpora, negre
ulve
...
(G. D'Annunzio)

come fai tu che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso
(E. Montale)

Acirologìa

Dal greco akyrologhía, composto di ákyros 'improprio' e -loghía '-logia'.
Sostantivo.
Uso improprio di un vocabolo o di una locuzione.

io venni in loco d'ogne luce muto.
(Dante)

Adynaton [ad'ynaton]

Dal greco adynaton 'cosa impossibile'.
Consiste nell'indicare un evento che non può verificarsi nella realtà come paragone per dare maggiore enfasi a un'affermazione. Spesso si mette in relazione l'impossibilità dell'avverarsi di un determinato fatto perché subordinato all'avverarsi di un altro fatto ritenuto impossibile.

Prima divelte, in mar precipitando
spente nell'imo strideran le stelle
,
cha la vostra memoria e il vostro
amor trascorra o scemi.
(G. Leopardi)

È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio
(Vangelo di Luca)

Afèresi

Voce dotta, latino tardo aphaeresi(m), dal greco aphairesis, composto di apó 'via'e airesis 'presa'.
È la caduta di una vocale o una sillaba all'inizio di una parola: rena per arena, verno per inverno, limosina per elemosina.

Allegorìa

Voce dotta, latino tardo allegoria(m), dal greco allegoria, composto di állei 'altrimenti'e agoréuo 'io parlo'.
È un'immagine o un discorso che nasconde un significato diverso da suo significato letterale, un significato recondito che è in stretto rapporto con quello letterale ma che va colto e interpretato. Questo procedimento retorico permette di trasformare nozioni astratte o concetti morali in immagini spesso suggestivamente pittoriche. Ad esempio, il romanzo di George Orwell 'La fattoria degli animali' racconta gli avvenimenti di una fattoria gestita dagli animali che si sono ribellati ai loro padroni umani, ma si tratta in realtà di una allegoria del comunismo.

Allitterazione

Dal latino, composto di ad e littera 'lettera'.
Il termine è stato coniato nel XV secolo, nella retorica classica si parlava di omoeopròphoron, dal greco homoìa 'uguale' e 'prophora 'pronuncia'.
Ripetizione utilizzata generalmente in poesia della stessa consonante all'inizio di parole ccontigue o a breve distanza. Se si ripete un'intera sillaba si parla di assillabazione. Meno comunemente l'allitterazione può avvenire con lettere all'interno delle parole.

Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscìo che fan le foglie
(G. D'Annunzio)

Di me medesmo meco mi vergogno
(F. Petrarca)

Sentivo un fru fru fra le fratte
(G. Pascoli)

Allusióne

Voce dotta, latino tardo allusione(m), da aludere 'alludere, giocare, scherzare'.
Consiste nell'affermare una cosa con l'intenzione di farne intendere un'altra, fornendo i riferimenti al destinatario affinché possa interpretare correttamente l'affermazione. Si presuppone quindi una base di conoscenza comune tra chi fa l'allusione e chi ne è il destinatario: a distanza di tempo o tra culture differenti può essere molto arduo o impossibile comprendere una allusione, specialmente quando questa è basata su riferimenti alla cronaca o alla contemporaneità. A riguardo si può citare la poesia di Montale "Piove" che recita:

piove
sui cipressi malati
del cimitero
(E. Montale)

L'aggettivo 'malati' allude a una malattia comparsa nella primavera del 1969 (la poesia è di maggio 1969) che colpì i cipressi facendoli inaridire e morire e che ebbe una notevole risonanza sulle pagine dei giornali: impossibile sarebbe cogliere l'allusione non conoscendo questa informazione.
L'allusione è molto utilizzata nel linguaggio pubblicitario, sia per la caratteristica di gioco arguto di parole che può avere la figura, sia per la sua capacità di appoggiarsi a qualche forma già nota al destinatario. Ad esempio una crema solare era pubblicizzata con lo slogan "va dove ti porta il sole", alludendo al libro famoso in quel periodo "Va dove ti porta il cuore".
L'allusione può anche trarre origine da un evento storico (per esempio, l'espressione "una vittoria di Pirro" per indicare una vittoria inutile e pagata a caro prezzo, come quelle ottenute dal re dell'Epiro, Pirro, contro i Romani) oppure può derivare da eventi e personaggi del mito e della letteratura, come per l'espressione "un labirinto", per alludere a una situazione indecifrabile o a luogo intricato, oppure per l'espressione "Don Abbondio", per indicare una persona vile e paurosa.

Amplificazione

Dal latino amplificatio 'il fare piú grande'.
Procedimento di accentuazione espressiva che consiste nel dilatare il discorso in ampiezza e in intensità. L'accumulazione si ottiene principalmente attraverso l'accumulazione e la ripetizione. Si può realizzare tramite diverse formulazioni linguistiche, in genere sinonimiche, per indicare un solo concetto:

Tu solo il Santo, Tu solo il Signore, Tu solo l'Altissimo.

Anacenòsi

Latino tardo anacoenosi(m), dal greco anakoinosis 'comunicazione', da koinos 'comune'.
Nella retorica, richiesta di consiglio a quegli stessi a cui o contro cui si parla:

Che debb'io far? che mi consigli, Amore?
(Petrarca)

Anacolùto

Dal latino tardo anacolytho(n), dal greco anakolouthon 'che non segue'.
Indica una frase il cui andamento risulta irregolare, a causa di un cambiamento di soggetto nel corpo dell'enunciato, lasciando così sospesa la prima parte della frase. Un simile uso, tipico per lo più dei poeti, è invalso anche presso gli scrittori in prosa, che lo adottano nell'intento di riprodurre i modi della lingua parlata e per caratterizzare determinati personaggi.
Classificato nelle grammatiche scolastiche come un errore in assoluto, l'anacoluto rappresenta in realtà una struttura di larghissima diffusione nella nostra e in altre lingue, compreso il latino (dove prendeva il nome di nominativus pendens; un esempio dal Vangelo di Matteo: «Qui habet, dabitur illi»). Il non collegamento sintattico tra due strutture ha la sua ragion d'essere nello svolgersi di un discorso che non è pianificato e definito sintatticamente, ma è già costruito dal punto di vista semantico.
Queste condizioni sono tipiche della comunicazione parlata e rispondono alla necessità di procedere più speditamente nella manifestazione e concatenazione delle idee. Oltre che nel parlato, l'anacoluto è accettabile nelle forme di scrittura che lo seguono molto da vicino o lo imitano espressamente, mentre è chiaramente incompatibile con le esigenze dei testi che devono avere univocità ed esplicitezza di significato.
Gli esempi abbondano nei classici di tutte le epoche:

E que' che guarderà tuttor la strada
certana sie che gli parrà morire
(Dante)

Mi pasco di quel cibo, che solum è mio, e ch'io nacqui per lui.
(Machiavelli)

Manzoni costellò di anacoluti i dialoghi e le parafrasi di dialoghi della redazione finale del romanzo; alcuni esempi:

Noi altre monache, ci piace sentir le storie per minuto.
(A. Manzoni)

Cose che le più gran dame, nelle loro sale, non c'eran potute arrivare.
(A. Manzoni)

Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro.
(A. Manzoni)

La bocca
che prima mise
alle mie labbra il rosa dell'aurora
ancora
in bei pensieri ne sento il profumo
(U. Saba)

All'anacoluto possono essere assimilati anche il tipo, molto frequente: "mangiare, il bambino mangia" e, specialmente nei titoli giornalistici, il tipo "Lira e borsa, un altro tonfo".

Anadiplòsi

Dal greco, 'ripetizione'.
Consiste nella ripresa, ad inizio di un verso, di una parola o di un gruppo di parole poste in conclusione del verso precedente, con un significativo effetto di insistenza e di risalto.

Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria
In una capra dal viso semita
(U. Saba)

La cenere, il vento
il vento che tarda, la morte, la morte che vive!
(E. Montale)

Anafora

Dal latino tardo anaphora(m), dal greco anaphorá 'ripetizione'.
Anche apanafora. Ripetizione di una o più parole all'inizio di versi o di frasi consecutive per conferire risalto al vocabolo ripetuto.

Per me si va nella città dolente,
per me si va nell'eterno dolore
per me si va tra la perduta gente.
(Dante)

Viva l'Italia
l'Italia che lavora
l'Italia che si dispera
e l'Italia che si innamora
l'Italia metà dovere
e metà fortuna
viva l'Italia
l'Italia sulla luna.
(F. De Gregori)

Analèssi

Voce dotta, greco análepsis, composto di ana 'di nuovo' e lepsis 'il prendere'.
Nella retorica classica, ripresa di una stessa parola.
In un testo narrativo, riferimento ad avvenimenti anteriori al tempo della narrazione, nella terminologia moderna è chiamato flashback. È il contrario della prolessi.

Analogìa

Dal greco analogìa, 'corrispondenza, rapporto'.
Nella retorica classica consiste nello stabilire rapporti tra due coppie di termini, cioè si confronta una coppia di termini legati da un certo rapporto con un'altra coppia di termini legati da un rapporto simile, ad esempio:

Una vacanza senza di te è come una Coca Cola senza cannuccia.

Nella poesia moderna il termine indica il procedimento che determina il passaggio di una similitudine da esplicita a implicita, eliminando l'introduzione al paragone (come, al modo di ecc.) e sostituendo così al rapporto di paragone il rapporto di identità. Spesso sono utilizzate associazioni ardite tra immagini diverse e prive all'apparenza di qualsiasi legame logico. Questo procedimento produce immagini inedite di grande effetto espressivo, al limite della comprensione per la loro sinteticità e pregnanza. Così, nei seguenti versi le analogie si mescolano in modo tale che risulta inutile spiegarle logicamente, in quanto vivono proprio della loro indistinzione e ambiguità:

La sera fumosa d'estate
dall'alta invetriata mesce chiarori nell'ombra
e mi lascia nel cuore un suggello ardente.
(D. Campana)

Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
(G. Ungaretti)

Anàstrofe

Dal greco anastrofe 'inversione'.
Inversione dell'ordine normale di parole o sintagmi posti in successione. È simile all'iperbato, che però prevede la presenza di un inciso tra i due termini scambiati.

Han fatto un dolce di morir desìo
(F. Petrarca)

Allor che all'opre femminili intenta
sedevi [...]
(G. Leopardi)

Anfibologia

Dal latino tardo amphibologia(m), composto di amphibolia 'collocare intorno'.
Discorso o espressione interpretabile in due modi diversi; carattere semanticamente ambiguo di un enunciato. L'anfibologia può dipendere dal lessico, dal momento che molti vocaboli hanno piú significati, ma, generalmente, si fa riferimento alla struttura sintattica e, in particolare, alla collocazione delle parole: "Mario vede mangiare un coniglio" dove non è chiaro se il soggetto veda qualcuno che mangia un coniglio o un coniglio che mangia.

Annominazione

Dal latino ad e nominatio, 'denominazione'.
Detta anche bisticcio o figura etimologica, consiste nell'accostamento di parole che sono uguali fonicamente ma hanno diverso significato:

Tre miglia lontan,
don don; e a mia porta
il diavol lo porta,
ed ecco in tre salti [...]
(L. Da Ponte)

Oppure accostamento di parole che hanno la stessa radice:

Esta selva selvaggia e aspra e forte
(Dante)

O nella ripresa della stessa parola in forma variata:

Amor, ch'a nullo amato amar perdona.
(Dante)

Antanaclàsi

Voce dotta, latino tardo antanaclasi(m), dal greco antanaklasis 'ripetizione', derivato dai antanaklan 'riflettere, ripercuotere'.
Figura retorica che consiste nella ripetizione in un dialogo da parte di un interlocutore di un'espressione utilizzata dall'altro interlocutore con lo scopo di rivoltarla, cioè di darle un significato diverso da quello usato in precedenza:

- Amleto, tu hai molto offeso tuo padre.
- Madre, tu hai molto offeso mio padre.
(W. Shakespeare)

Anticlimax

Vedi climax e anticlimax.

Antìfrasi

Dal greco antìphrasis, 'espressione contraria'.
Consiste nell'affermare l'opposto di quello che si intende dire. Ha un chiaro scopo ironico e polemico.

Avete fatta una bella azione! M'avete reso un bel servizio! Un tiro di questa sorte a un galantuomo, al vostro curato! in casa sua! in luogo sacro! Avete fatta una bella prodezza!
(A. Manzoni)

Antimetàbole

Latino medievale antimetabole, dal greco antimetabole, da antimetaballein 'invertire'.
Vedi chiasmo complicato.

Antìtesi

Dal greco antíthesis 'contrapposizione'.
Consiste nell'accostamento di termini o concetti di senso opposto, accostamento che spesso è reso più incisivo dalla struttura simmetrica della frase, come nella celebre terzina dantesca:

Nella fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti:
non pomi v'eran, ma stecchi con tosco.
(Dante)

Io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai.
(F. De André)

Antonomàsia

Dal greco antì 'invece, al posto di' e il verbo onomázo 'chiamare, nominare', quindi 'cambiamento di nome'.
Figura retorica in base alla quale si utilizza un nome comune o una perifrasi in luogo di un nome proprio oppure, viceversa, si utilizza un nome proprio al posto di un nome comune. In questa pagina del sito potete trovare un elenco di antonomasie e di soprannomi.

L'Avvocato (Gianni Agnelli)
L'eroe dei due mondi (Garibaldi)
Un ercole (persona molto forte)

Disse 'l cantor de' buccolici carmi
(Dante, con riferimento a Virgilio)

Apàllage

Voce dotta, greco apallage 'separazione', da apallàsso 'io separo'.
Figura retorica che consiste nell'interporre nel costrutto una proposizione, o nell'allontanarsi dall'ordine dei concetti.

L'Italia! Mi hanno accusato di averla chiamata vile! E non ricordarono (se non fosse troppo innocente ed ingenuo appellarsi alla memoria degli avversari) e non ricordarono, per un verso.
(G. Carducci)

Aposiopési

Dal greco siopáo 'tacere'.
Anche detta reticenza. Interruzione del discorso ad arte in modo da lasciare intendere quello che non si dice, per timore, per riguardo o anche per calcolo. Nell'ultimo caso si invita l'ascoltatore a completare il senso della frase e se ne dà in tale modo grande risalto. Si veda, ad esempio, come Alessandro Manzoni intessi di reticenze l'intero colloquio tra il Conte Zio e il Padre provinciale dei Cappuccini, nel capitolo XIX dei Promessi Sposi:

"C'entra il puntiglio; diviene un affare comune; e allora... anche chi è nemico della pace... Sarebbe un vero crepacuore per me, di dovere... di trovarmi..., io che ho sempre avuta tanta propensione per i padri cappuccini..."
(A. Manzoni)

L'aposiopesi può insinuare dubbio:

Certo ha agito così per onestà, oppure...

Può attenuare un'espressione altrimenti troppo forte:

Un comportamento così malvagio dovrebbe essere punito mandandolo a...

Può essere infine dovuta ad autocensura:

E in libertà riflette
ai suoi trascorsi che sarà bello tacere.
(G. Gozzano)

Generalmente è indicata graficamente dai puntini di sospensione e, nell'oralità, da mimica facciale o dello sguardo.
È reticenza anche l'indicare il nome di personaggi solo tramite l'iniziale, come il dottor S. della 'Coscienza di Zeno', che probabilmente cela un personaggio reale.

Apóstrofe

Dal greco apò 'da' e il verbo stréfo 'voltare', quindi 'deviazione, volgere indietro', per il gesto dell'oratore di rivolgersi verso un nuovo destinatario del discorso.
Atto del rivolgersi, ad un certo punto del discorso, direttamente a una persona o cosa personificata lontana nello spazio o nel tempo e comunque diversa dal naturale destinatario del discorso. Ha generalmente valore di appello o invocazione ed è caratterizzata da una forte partecipazione emotiva del narratore.

Ahi Pisa, vituperio delle genti
del bel paese là dove il sì suona.
(Dante)

Apozeugma

Vedi zeugma.

Asianésimo o asianìsmo

Derivato del latino Asianu(m), propriamente 'asiatico', perché gli oratori di tale indirizzo provenivano soprattutto dall'Asia Minore.
Nell'antichità greco-romana, stile oratorio e indirizzo letterario che propugnava l'uso di un linguaggio esuberante, ricco di artifici retorici; poi ha avuto il significato di retorica sovrabbondante ed eccessiva ricercatezza dello stile letterario. Si contrapponeva all'atticismo.

Asìndeto

Dal greco asýndeton 'slegato', composto da alfa privativo 'non' e syndeo 'lego insieme'.
Giustapposizione di parole o frasi senza l'ausilio di alcuna particella congiuntiva o disgiuntiva, spesso ricorrendo alla virgola. Un simile procedimento è particolarmente efficace per conferire all'insieme una forte carica espressiva.

... non canto non grido
non suono pe'l vasto silenzio va.
(D'Annunzio)

di qua, di là, di giù, di su li mena
(Dante)

Assillabaziòne

Vedi allitterazione.

Atticìsmo

Dal latino tardo atticismu(m), che è dal greco attikismós, da attikos 'attico'.
Nell'antichità greco-romana, indirizzo letterario e retorico che propugnava uno stile sobrio e limpido, a imitazione degli scrittori attici classici; poi è diventato sinonimo di limpidezza e sobrietà di linguaggio, di gusto. È contrapposto ad asianesimo

Bisticcio

Annominazione.

Brachilogia

Dal greco bracús 'breve'.
Anche detta brevitas. Forma di brevità espressiva consistente nel sopprimere intenzionalmente elementi non essenziali del discorso, in particolare elementi che risultano comuni a più proposizioni successive.

Non leggerò nè Cassola nè Silone, ma Calvino (non viene ripetuto il verbo che regge tutti e tre gli oggetti).

Brevitas

Vedi brachilogia.

Chiasmo

Dal greco chiasmo, da chiàzo 'dispongo in forma di chi', chi è la lettera greca corrispondente alla X.
Anche chiamato antimetabole. Consiste nella disposizione incrociata degli elementi di una frase, mantenendo la corrispondenza per struttura grammaticale e/o valore semantico, secondo lo schema "a1 b1 b2 a2", ad esempio "ottima cena ma ospiti noiosi". Si definisce chiasmo piccolo quando le due parti fanno parte della medesima frase.
Quando gli elementi disposti specularmente hanno la stessa funzione sintattica nei due membri il chiasmo si definisce semplice:

e per tutto entra l'acqua e il vento spira.
(T. Tasso)

Quando invece le corrispondenze semantiche si incrociano con quelle sintattiche si parla di chiasmo complicato o antimetabole. In particolare si parla di chiasmo semantico, quando si ha parallelismo delle funzioni sintattiche e corrispondenza speculare dei significati:

affermando questi cotali non mangiare per vivere,
ma più tosto vivere per mangiare
(Boccaccio)

Si parla di chiasmo sintattico, quando si ha parallelismo semantico e corrispondenza speculare delle funzioni sintattiche:

gli è ingiusto et inumano
ch'alla sorella il fratel morte dia,
o la sorella uccida il suo germano
(L. Ariosto)

Il chiasmo grande coinvolge più preposizioni all'interno dello stesso periodo.

Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male.
(U. Saba)

Circonlocuzione

Vedi perifrasi.

Climax e anticlimax

Dal greco climax, 'scala'.
Disposizione di frasi, sostantivi e aggettivi in una progressione "a scala", ossia, secondo una gradazione ascendente (climax), a suggerire un effetto progressivamente più intenso: buono, migliore, ottimo (dal grado normale dell'aggettivo si passa al grado comparativo e, infine, a quello superlativo); due, tre, quattro (costituisce la più semplice gradazione, in quanto attuata sul piano numerico); oppure discendente (anticlimax), per suggerire un effetto di decrescita di intensità.
Un simile procedimento risulta efficace soprattutto in poesia, dove l'intensificazione del concetto attraverso la progressione naturale dal vocabolo più debole al più forte è incrementata in modo significativo dai valori fonici e ritmici delle parole.
Nella celebre chiusa dell'Infinito:

Così tra questa immensità
s'annega il pensier mio e il naufragar m'è dolce in questo mare
(G. Leopardi)

si attua una gradazione in senso discendente (anticlimax) attraverso immensità/s'annega/naufragar, che, anche ritmicamente, riproducono un progressivo abbandono della mente.

Comparazióne

Dal latino comparare, composto di cum 'con' e un derivato di par paris 'pari'.
Vedi similitudine.

Concessióne o concessio

Figura retorica che consiste nell'ammettere provvisoriamente le ragioni dell'avversario, per poi ritorcerle contro generalmente come poco rilevanti rispetto alla validità della propria tesi.

Concedo che questo generalmente possa chiamarsi atto proditorio; ma appoggiar quattro bastonate a un mascalzone!
(A. Manzoni)

Confutazióne

Dal latino confutatione(m), da confutare 'abbattere, reprimere', poi 'confutare'.
Nella retorica classica, parte dell'orazione in cui si ribattono gli argomenti dell'avversario.

Correzióne o correctio

Dal latino correctione(m), da correctus 'corretto'.
Anche epanortosi. Ritrattazione più o meno sfumata di ciò che si è appena detto e sostituzione con un termine ritenuto più appropriato Può essere la correzione di un lapsus involontario oppure una precisazione di ciò che si è già detto in precedenza..

C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d'antico...
(Pascoli)

Ho detto "ballo"? Scusate; volevo dire, uccellatojo da sposi.
(C. Dossi)

È proprio un brav'uomo, che dico?, è un santo!

Deliberatìvo

Anche delibiratìvo.
Dal latino deliberativu(m) 'deliberare'.
Modo, discorso deliberativo: quelli propri del soggetto che pone a sé stesso domande sul comportamento da tenere.

Che mai posso fare?

Il genere deliberativo (in greco genos sumbouleutikon) era, nella retorica classica, uno dei tre generi dell'eloquenza, e veniva usato con il fine di persuadere o dissuadere oppure, come diceva Aristotele, lo sconsigliare o il consigliare. Gli altri due generi erano l'epidittico e il giudiziario.

Diàcope

Vedi tmesi.

Diàfora

Dal greco diáphoros 'che porta attraverso, diverso'.
Ripetizione diuna parola usata in precedenza con un nuovo significato o con una sfumatura di significato diversa. Così, nella frase:

Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. (Pascal)

la parola ragione è usata dapprima nel significato di motivo e poi in quello di facoltà di pensare e giudicare.

La mattina seguente don Rodrigo si destò don Rodrigo.
(A. Manzoni)

Il principio di base della diafora è utilizzato per molteplici giochi di parole.

Quale è il colmo per un falegname? Avere la moglie scollata.

Diàlisi

Voce dotta, latino tardo dialusi(n), dal greco dialysis, da dialyein 'sciogliere (lyein) in mezzo (dia)', 'separare'.
Interruzione dell'ordine del discorso per inserirvi un inciso:

Parte sen giva, e io retro li andava, lo duca, già faccendo la risposta.
(Dante)

Dialogìsmo

Voce dotta, latino tardo dialogismu(m), dal greco dialogismos, da dialogízesthai 'dialoghizzare'.
Sostantivo.
Finzione letteraria del dialogo tra due o più persone e anche con sé stessi.

Oh povero me! vedete se quelle due figuracce dovevan proprio piantarsi sulla mia strada, e prenderla con me! Che c'entro io?
(A. Manzoni)

C'era una volta... - Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori. - No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.
(C. Collodi)

Disfemìsmo

Tratto da eufemismo, per sostituzione del prefisso eu- con dis-, dal greco dysphemein 'dir male, oltraggiare'.
Sostituzione, in modo spesso scherzoso, di una parola con un'altra dotata all'origine di connotazione negativa, senza tuttavia attribuirle un tono offensivo (per esempio 'i miei vecchi' per 'i miei genitori').

Dubitazióne o dubitatio

Voce dotta, latino dubitatione(m), da dubitare.
Simulazione di una esitazione nel compiere una determinata scelta oppure di una incertezza sulla verità di ciò che si afferma.

Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza.
(A. Manzoni)

Ma io, perché venirvi? o chi 'l concede?
Io non Enea, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri 'l crede.
(Dante)

Ellìssi

Dal latino ellipsi(m), dal greco elleipsis 'mancamento, omissione', da elléipein 'mancare (léipein) dentro (en-)'.
Omissione di una o più parole che il contesto o la costruzione grammaticale richiederebbero.

che degio far più sconsolato al mondo?
(M. M. Boiardo).

Dopo di noi il diluvio (è stato eliminato il verbo 'verrà')

L'ellissi è molto utilizzata nei titoli dei giornali, per la necessità di trasmettere più informazioni in poche parole.

Enallage

Dal greco enallage 'inversione'.
Scambio di una parte del discorso con un'altra; ad esempio, l'uso di un avverbio al posto dell'aggettivo corrispondente o di una forma del verbo al posto di un'altra.

Domani arrivo (in luogo di 'domani arriveró')

Cominciommi a dir soave e piana
(Dante)

dove 'soave' e 'piana' (oggetti) stanno per 'soavemente' e 'pianamente' (avverbi).

Endìadi

Dal greco hen dià dýoin, 'una cosa per mezzo di due'.
Consiste nell'esprimere un unico concetto mediante due termini complementari (due sostantivi o due aggettivi), coordinati tra loro.

Vedo splendere la luce e il sole (col significato di 'Vedo splendere la luce del sole').

Natura malvagia e ria
(Dante)

Ènfasi

Dal latino emphasi(m), dal greco émphasis, derivato di empháinein 'mostrare'.
Meccanismo consistente nel dare particolare rilievo espressivo a una parola o ai passi salienti di un discorso o di uno scritto.

Sì, se l'arroganza de' vostri pari fosse legge per i pari miei.
(A. Manzoni)

Nel discorso orale viene realizzata con i gesti e con l'intonazione della voce, nella scrittura con mezzi di interpunzione e grafici: punti esclamativi, caratteri diversi, sottolineature.

È stata una BELLISSIMA giornata!!!

Il sangue non è acqua infine! Non possiamo lasciare quel povero vecchio solo in mezzo al colèra...
(G. Verga)

Enumerazióne

Voce dotta, latino enumeratione(m), da enumerare 'enumerare'.
Serie di parole o di sintagmi accostati per asindeto o per polisindeto. Sono particolari tipi di enumerazione l'accumulazione e l'enumerazione caotica.

Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,
le cortesie, l'audaci imprese io canto.
(L. Ariosto)

Pane, amore e fantasia.

I miei carmi son prole
delle foreste,
altri dell'onde,
altri delle arene,
altri del Sole,
altri del vento Argeste.
(G. D'Annunzio)

Nella retorica classica, è il riepilogo ordinato dei punti salienti di un discorso precedente.

Enumerazione caotica

Particolare tipo di accumulazione dove sono elencati parole o sintagmi di contenuto eterogeneo, il legame quindi fra i diversi elementi non è contenutistico ma di semplice associazione di idee.

diete politicizzate
evasori legalizzati
auto blu
cieli blu
amore blu
rock and blues
nuntereggaepiù!
(R. Gaetano)

Epanadiplòsi

Dal latino tardo epanadiplosi(m), dal greco, 'reduplicazione', da diplosis 'raddoppiamento', rafforzato con ep(i) 'sopra' e ana 'nuovamente'.
Ripetizione di una o più parole all'inizio e alla fine di un enunciato.

Prendi partito accortamente, prendi.
(F. Petrarca)

Piace alla gente che piace.

Amo la patria, immensamente io l'amo.
(G. Verdi)

Epanàfora

Dal latino tardo epanaphora(m), dal greco epanaphorá, derivato di epanaphérein 'riportare', composto di epí 'sopra', aná 'di nuovo' e phérein 'portare'.
Uguale ad anafora.

Epanalèssi

Vedi epanallesi.

Epanallèsi o geminatio

Dal greco epanálepsis, 'ripresa'.
Anche epanalèssi. Consiste nella ripetizione, dopo un breve intervallo, di una o più parole, per sottolineare un particolare concetto:

Ma passavam la selva, tuttavia,
la selva, dico, di spiriti spessi.
(Dante)

Papè Satan, Papè Satan, aleppe!
(Dante)

Ho un sonno, ma un sonno.

Epànodo

Dal latino tardo epanodu(m), dal greco epanodos 'regressione'.
Ripresa, arricchendole di particolari, di una o più parole enunciate in precedenza.

Consiglio la montagna e la collina: la montagna per l'aria e la collina per il riposo.

Epanortòsi

Dal greco epanòrthosis, 'correzione'.
Vedi correzione.

Epidìttico

Dal latino epidicticu(m), dal greco epideiktikós, derivato di epideikny/nai 'dimostrare'.
Che serve a dimostrare, a esporre. Il genere epidittico (in greco genos epideiktikos), nella retorica classica, è uno dei tre generi dell'eloquenza e veniva usato nelle feste, nelle pubbliche cerimonie e nelle commemorazioni dei morti per la patria, oppure, nelle parole di Aristotele, per l'elogio e il biasimo. Gli altri due generi sono il deliberativo e il giudiziario.

Epifonèma

Dal greco epiphónema, 'voce aggiunta'.
Sentenza utilizzata per concludere con enfasi e solennità un discorso:

Sì vedrem chiaro poi come sovente
per le cose dubbiose altri s'avanza
et come spesso indarno si sospira.
(F. Petrarca)

La morte
si sconta
vivendo
(G. Ungaretti)

Epìfora

Voce dotta epiphora(m), dal greco epiphorá, 'portare (pherein) in aggiunta (epi)'.
Anche detta epistrofe.
Figura retorica che consiste nella ripetizione della medesima parola, o gruppo di parole, alla fine di due o più frasi o versi successivi. È la figura speculare all'anafora, e sono utilizzate molto spesso insieme nelle preghiere.

dintorno ai campi d'Ilion; da tutte
molte asportai pregiate spoglie, e tutte.
(Omero)

Io lavoro, e penso a te.
Torno a casa, e penso a te.
Le telefono, e intanto penso a te.
"Dove andiamo?", e penso a te.
Le sorrido, abbasso gli occhi e penso a te.
(Mogol - L. Battisti)

Epìfrasi

Dal greco epiphrazein propriamente 'addurre, inoltre'.
Consiste nell'isolamento di uno o più elementi del discorso alla fine del segmento, così da fargli assumere una funzione apparentemente accessoria al termine di un discorso in sé compiuto. È una forma particolare di iperbato.

Già era dritta in sù la fiamma e queta
(Dante)

[...] questa
bella d'erbe famiglia e d'animali
(U. Foscolo)

Epìstrofe

Vedi epifora.

Epiteto

Vedi esornativo.

Epìtrope

Dal greco epitropé 'concessione, decisione', derivato di epitrépein 'concedere', composto di epí 'su, verso' e trépein 'volgere'.
Figura retorica per la quale l'oratore, ostentando sicurezza e confidando nella bontà della sua causa, fa larghe concessioni all'avversario o si rimette al giudizio del magistrato.

Signori giurati, io so che voi renderete alla luce e alla vita quest'uomo che ne è degno.
(R. Bacchelli)

Esclamazióne

Figura retorica che consiste nell'esprimere con enfasi uno stato d'animo in forma esclamativa, reso con il segno di interpunzione nello scritto oppure con l'intonazione e il volume della voce nel discorso parlato.

Ahi figlio mio! Se con sì reo destino
ti partorii, perché allevarti, ahi lassa!
(V. Monti)

Esornatìvo

Derivato del latino exornatus, participio passato di exornare 'adornare, abbellire'.
Anche detto epiteto.
Che mira a celebrare, a esaltare e che ha funzione unicamente ornamentale; epidittico: eloquenza esornativa.

L'astuto Ulisse.

Etopèa

Dal greco ìthopoiía, composto di êthos 'costume, carattere' e un derivato di poiêin 'fare, formare'.
Descrizione del carattere, del costume e dell'indole di una persona o un personaggio.

o anima lombarda,
come ti stavi altera e disdegnosa
e nel mover de
li occhi onesta e tarda!
(Dante)

Eufemismo

Dal greco eu, 'bene', e phemì, 'parlo', 'parlo in modo piacevole, dico parole di buon augurio'.
Consiste nell'adoperare una parola o un'espressione di significato neutro o generico invece di una parola o di un'espressione ritenute troppo crude e irriguardose.

Passare a miglior vita (al posto di 'morire').

È un eufemismo anche la modificazione fonetica di un insulto o di una imprecazione, che diventano così più accettabili.

Che testa di cavolo!

Frequentazióne

Voce dotta, latino freqentatione(m), da frequentare.
Figura retorica che consiste nell'accumulare in un solo punto più cose dette sparsamente:

Bene! Dunque riassumo, come uomo serio che sono. La poesia, per ciò stesso che è poesia, senz'essere poesia morale, civile, patriottica, sociale, giova alla moralità, alla civiltà, alla patria, alla società.
(G. Pascoli)

Geminazióne

Dal latino geminatione(m), da geminatus, participio passato di geminare 'geminare, duplicare'.
Anche epanallesi.

Giudiziario

Dal latino iudiciariu(m).
Che concerne il giudizio. Il genere giudiziario (in greco genos dikainikon), nella retorica classica, è uno dei tre generi dell'eloquenza e veniva usato nel foro, come dice Aristotele, per l'accusa e la difesa. Gli altri due generi sono il deliberativo e l'epidittico.

Gradazione

Vedi climax.

Hysteron proteron

Trascrizione della locuzione greca hysteron ('posteriore, che viene dopo') próteron ('anteriore, che precede'), quindi 'l'elemento che segue collocato prima dell'elemento che precede' (propriamente 'posteriore anteriore').
Procedimento narrativo che consiste nel rovesciare, in una frase, l'ordine temporale degli avvenimenti, mettendo così in risalto l'azione che viene a essere nominata per prima.

Il pranzo venne consumato in fretta e servito alla mezza.
(A. Palazzeschi).

Insinuazióne

Voce dotta, latino insinuatione(m), da insinuatus 'insinuato'.
Ragionamento fatto con dissimulazione per guadagnarsi l'animo degli uditori.

Interrogazione retorica

Frase espressa in forma interrogativa, che non ha bisogno però di risposta in quanto la contiene già in sé; serve per dare maggiore efficacia a quanto si dice e per indurre l'interlocutore alla nostra opinione.

O ciechi, el tanto affaticar che giova?
Tutti tornate a la gran madre antica
e 'l vostro nome a pena si ritrova
(F. Petrarca)

Inventio o invenzióne

Parte della retorica antica che consiste nel trovare gli argomenti che devono essere usati da parte di chi parla o scrive. Le altre parti sono la dispositio, l'elocutio, l'actio e la memoria.

Ipàllage

Dal greco hypallàssein, 'scambiare, porre sotto un'altra cosa'.
Consiste nell'attribuire a una parola qualcosa (qualificazione, determinazione o specificazione) che si riferisce a un'altra parola della stessa frase. Così nei versi:

... un ribatte le porche con sua marra paziente.
(G. Pascoli)

l'aggettivo paziente è riferito all'arnese marra, ma logicamente va riferito a un, cioè al contadino che usa la marra e che è paziente.

Il saliscendi bianco e nero dei
balestrucci dal palo
del telegrafo al mare
(E. Montale)

Ipèrbato

Dal greco hypèrbaton, 'trasposto, passato oltre'.
Consiste nello spezzare l'ordine normale delle parole di una frase, separando elementi che di solito sono uniti tra di loro (ad esempio, un nome dal suo aggettivo o un complemento dal nome che lo regge). Così nel verso:

Mille di fiori al ciel mandano incensi.
(U. Foscolo)

è spezzato e invertito l'ordine normale tra il complemento di specificazione di fiori e il nome incensi (=profumi) che lo regge.

Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada
(U. Saba)

Ipérbole

Dal latino hyperbole(m), che è dal greco hyperbolé, derivato di hyperbállein, composto di hypér 'oltre' e bállein 'gettare'; propriamente 'lanciare oltre, aldilà' e quindi 'passare la misura'.
Rappresentazione di un fatto o di una situazione fatta in termini eccessivi, che ne amplifica o ne sminuisce la portata con voluta esagerazione.

Una donna piú bella assai che 'l sole
et piú lucente, et d'altrettanta etade,
con famosa beltade....
(F. Petrarca)

Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare sull'animo del poveretto, quello che s'è raccontato.
(A. Manzoni)

Ipotipòsi

Dal greco hypotìposis, 'abbozzo', composto di hypò, 'sotto', e typoùn, 'foggiare, plasmare'.
Rappresentazione particolarmente vivace di un avvenimento reale o fantastico, di un oggetto o di un personaggio. Così, Salvatore Quasimodo nella lirica Uomo del mio tempo, ricorre a una ipotiposi per rappresentare il suo personaggio:

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
- t'ho visto - dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu.
(S. Quasimodo)

Ironia

Dal greco éiron, 'colui che interroga fingendo di non sapere'.
Consiste nella dissimulazione del discorso, per cui parlando di qualcosa si fa capire che non si deve prestare fede a ciò che si sta dicendo. È una figura retorica che può comprendere al proprio interno anche l'antifrasi, la litote e l'aposiopesi. Come atto linguistico, richiede al lettore o all'ascoltatore la capacità di cogliere la sostanziale ambiguità dell'enunciato. Frequente nel linguaggio comune, dove dà colore ed efficacia al discorso, l'ironia è usata con abilità da Manzoni nei Promessi Sposi. Si vedano le parole con cui Renzo rinfaccia ad Agnese di averlo mandato a consultare l'Azzeccagarbugli:

"Bel favore che m'avete fatto! M'avete mandato proprio da un galantuomo, da uno che aiuta veramente i poverelli!"
(A. Manzoni)

Quando l'ironia non è mossa dal sorriso, ma dallo sdegno o dal rancore, si ha il sarcasmo. Così, nei versi seguenti, Dante, ripensando ai tanti fiorentini che, nell'inferno, ha trovato tra i ladri, esclama:

Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande,
che per mare e per terra batti l'ali,
e per lo 'nferno tuo nome si spande!
(Dante)

Isocòlo

Dal latino isocolo(n), che è dal greco isókolon, composto di ísos 'uguale' e kôlon 'membro'; propriamente 'formato di membri uguali'.
Uguaglianza, perfetta rispondenza di numero di vocaboli e di ritmo sintattico tra due membri che costituiscono un periodo.

Più lo mandi giù, più ti tira su.

Se i membri sono tre si dice tricòlon, se sono quattro tetracòlon. A volte viene anche chiamato parososi (dal greco, 'quasi uguale').

Isterologìa

Voce dotta, latino tardo hysterologia(m), dal greco hysterologia, composto di hysteron 'posteriore'e logia 'logia'.
Figura retorica che consiste nel dire prima quello che si dovrebbe dire dopo.

Litòte

Dal greco litòs, 'semplice, attenuato'.
Consiste nell'esprimere un concetto negando il concetto opposto. Può avere funzione attenuativa o eufemistica.

Don Abbondio [...] non era nato con un cuor di leone.
(A. Manzoni)

Ragazzo un po' aftuo, ma non antipatico e non cattivo nel fondo.
(E. De Marchi)

Metàbasi

Dal greco metábasis, derivato di metabáinein 'passare ad altro'.
Nella retorica classica, passaggio ad altro argomento nell'ambito dello stesso discorso.

Metàfora

Dal greco metaphérein, 'trasportare, trasferire'.
Consiste nello spostamento di significato di una parola dal campo di idee in cui viene normalmente usata a un altro, di modo che una parola viene sostituita da un'altra che con la prima intrattiene un rapporto di somiglianza.
Generalmente la metafora viene considerata una "similitudine abbreviata", perchè realizza in forma immediata e sintetica il rapporto di somiglianza che di solito viene presentata in forma analitica mediante una similitudine o una comparazione: così, la metafora "Ulisse è una volpe" altro non è che una condensazione della similitudine "Ulisse è furbo come una volpe". Tale definizione non è però comprensiva di tutte le varietà di metafora.
È la figura retorica più diffusa e ha tanto più valore quanto più risulta inaspettata.

I capei d'oro.
(F. Petrarca)

Fare la barba al palo (sfiorare il palo)

Colpo di fulmine.

Le bugie hanno le gambe corte.

"Da Tremonti solo briciole" (titolo di un giornale)

Dentro la bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole
(F. De Andrè)

Metalèpsi

Voce dotta, latino metalepsi(n), dal greco metalepsis 'il prendere parte', da metalambanein 'prendere parte', composto di metá e lambanein 'prendere'.
Improprietà nell'uso di un sinonimo determinata dal contesto (frequente nei giochi di parole
e, come errore, nei calchi e nelle traduzioni).
Figura retorica consistente nell'operare contemporaneamente più di un trasferimento di significato tramite l'applicazione di più figure retoriche.

Mangiare le fatiche delle proprie mani.

Metonìmia

Dal greco metonymía, 'scambio di nome'.
Consiste nell'utilizzare una parola in senso figurato, in sostituzione di un termine proprio, con il quale intrattiene un rapporto di contiguità. Così si può nominare, ad esempio:

Obiurgazióne

Voce dotta, latino obiurgatione(m), da obiurgare 'obiurgare'.
Nell'antica retorica, biasimo, invettiva oratoria rivolta a una moltitudine.

Omeotelèuto o omotelèuto

Voce dotta, dal greco homoiotéleutos, composto di hómoios 'uguale' e telete 'fine', da têle 'lontano'.
È l'uguaglianza fonica della terminazione di parole contigue o vicine. Viene utilizzato in poesia nella rima e normalmente collega tra loro parole situate alla fine di un verso.

L'orrida vecchiezza
dai denti finti e dai capelli tinti
(G. Gozzano)

Onomatopèa

Dal greco onomatopoiía, 'creazione di un nome', composto di ónoma, 'nome', e poiéo, 'faccio'.
È una parola, o una frase, che riproduce a scopi espressivi, attraverso i fonemi della lingua, il suono o il rumore di una cosa o il verso di un animale: "din-don"; "zzz".

[...] un breve gre grè di ranelle.
(G. Pascoli).

Ossìmoro o ossimòro

Associazione di due parole di significato contrapposto. Lucida follia, convergenze parallele.

Odi et amo.
(Catullo)

Palilogìa

Dal greco palilloghía, composto di pálin 'di nuovo' e -loghia '-logia'.
Ripetizione, iterazione.

Parallelìsmo

Dal greco parállelos, 'parallelo, l'uno accanto all'altro'.
Consiste nell'allineare, sempre secondo lo stesso ordine, gli elementi di due o più enunciati successivi, in modo da determinare strutture identiche e simmetriche tra loro:

vigile ad ogni soffio
intenta a ogni baleno,
sempre in ascolto
sempre in attesa
pronta a ghermire
pronta a donare...
(G. D'Annunzio)

Paranomàsia

Dal greco paromasìa, 'denominazione simile'.
Consiste nell'accostare parole che risultano somiglianti dal punto di vista fonico, allo scopo di produrre particolari effetti espressivi (comici o ironici) o di dare particolare rilievo alle parole coinvolte.

I' fui per ritornar più volte vòlto
(Dante)

Perìfrasi

Dal greco períphrasis, 'discorso intorno, circonlocuzione' (dal latino circumlocutionem, 'discorso intorno').
Consiste nell'indicare una persona o una cosa con un giro di parole, anziché con il suo nome abituale. Un simile procedimento può rispondere a diverse esigenze e finalità: può essere usata per evitare una inutile ripetizione, per sostituire un termine eccessivamente crudo (si veda l'eufemismo) o anche soltanto per conferire un particolare tono poetico alla frase, come ad esempio nel verso leopardiano "incontro là dove si perde il giorno" per dire "verso occidente, verso il tramonto". Famose sono anche le perifrasi con cui, nel carme Dei Sepolcri, Ugo Foscolo indica i grandi italiani sepolti in Santa Croce. Oltre all'eufemismo può coincidere anche con la litote, la metafora, la sineddoche, la metonimia.

Perissologìa

Dal latino tardo perissologia(m), che è dal greco perissologhía, composto di perissós, 'superfluo' e -loghía '-logia'.
Nella retorica classica, espressione sovrabbondante, che va al di là di cio che è richiesto dalla semplice enunciazione di un concetto:

L'amor d'ogni altra donna il cor disprezza,
il cor ch'a tal piacer mai non dà loco.

Può anche essere costruita affermando un concetto e negando il suo contrario

Amo il coraggio, odio la viltà.

Poliptòto

Dal latino tardo polyptoto(n), dal greco polyptotos 'dai molti casi'.
Meno comunemente polittòto.
Figura retorica che consiste nell'usare lo stesso vocabolo a breve distanza con funzioni morfo-sintattiche differenti pur conservando lo stesso significato lessicale.

Io, vecchio, parlai a un vecchio della vecchiaia.
Era, è e sarà sempre così.
Cred'io ch'ei credette ch'io credesse.
(Dante)

Relata refero
(Frase latina, significa "riferisco cose riferite")

Polisìndeto

Dal greco polys`yndeton, 'molto legato insieme'.
Consiste nel coordinare tra loro le parole di una proposizione o le proposizioni di un periodo facendo largo uso di congiunzioni, per evidenziare particolari valori espressivi o per creare un ritmo concitato e incalzante.

[...] e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni e la presente
e viva, e il suon di lei
(G. Leopardi)

Preterizione

Dal latino praeterire, 'passare oltre, omettere'.
Consiste nell'affermare di voler tacere un fatto o un argomento di cui, in realtà, si parla chiaramente:

Non ti dico che cosa ha combinato il cane: ha morso il postino e, poi, quando l'abbiamo rinchiuso, si è mangiato il tappeto della zia.
(I. Svevo)

Prolèssi

Dal latino tardo prolìpsin, che è dal greco prólìpsis 'anticipazione', derivato di prolambánein 'anticipare', composto di pro- e lambánein 'prendere'.
Figura consistente nel dare una risposta anticipata a una prevista obiezione.
In narratologia costruzione per cui un avvenimento accaduto in un tempo successivo viene narrato al tempo della narrazione, è il contrario di analessi.

Proposizióne

Dal latino propositione(m), derivato di proponere 'mettere innanzi, proporre'.
Inizio di un'orazione o di un poema, in cui si enuncia l'argomento che sarà trattato.

Prosopopea

Dal greco prosopopoièn 'personificare', composto da pròsopon 'volto', e poièin 'fare'.
Detta anche personificazione, consiste nell'introdurre a parlare un personaggio assente o defunto o anche cose astratte e inanimate, come se fossero persone reali. Così Virgilio personifica e fa parlare la Fama, Ludovico Ariosto la Frode e Giosuè Carducci i cipressi di Bolgheri.

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?
(G. Leopardi)

Reiterazióne

Procedimento stilistico per cui la stessa idea è variata e ripetuta (per esempio attraverso sinonimi o perifrasi); ripetizione, anafora.

Reticenza

Dal latino reticère, 'tacere, sottacere'.
Vedi aposiopesi.

Similitudine

Dal latino similis, 'simile'.
Consiste in un paragone istituito tra cose, persone e situazioni ritenute simili, attraverso la mediazione di avverbi o locuzioni avverbiali di paragone ("come", "a somiglianza di", "tale", "quale"). Usato per chiarire ciò che è oscuro o difficile da spiegare, è un espediente molto frequente nella poesia epica. Famose, in particolare, sono le similitudini omeriche:

"Come un'aquila che dall'alto a piombo
attraverso le cupi nubi si precipita sulla campagna
per ghermire una lepre o un'agnella,
tale, scuotendo il ben affilato ferro,
Ettore si scaglia nella mischia."
(Omero)

Figura retorica che consiste nel paragonare tra loro cose, persone, entità astratte, che presentano in misura uguale, maggiore o minore le medesime caratteristiche (nel caso dell'uguaglianza si distingue generalmente dalla similitudine per la possibile reversibilità del paragone).

Elle son più belle che gli agnoli dipinti
(Boccaccio)

Sìmploche

Greco symploke 'intreccio'.
Figura retorica che consiste nella ripetizione della medesima parola, o gruppo di parole, all'inizio e alla fine di due o più frasi o versi successivi; è l'unione di anafora e epifora.

E il giovinetto non intese, e pianse.
E la fanciulla si confuse, e pianse.
(G. Pascoli).

Sìnchisi

Dal latino tardo synchysi(m), che è dal greco synchysis 'mescolamento, confusione'.
Confusione nell'ordine delle parole risultante da una costruzione sintattica intricata.
Figura retorica che consiste nelle, anche numerose, combinazioni di anastrofi e iperbati.

Il divino del pian silenzio verde.
(G. Carducci).

Sinèddoche

Dal greco synekdékhomai, 'prendo insieme'.
Consiste nell'indicare una cosa non con il suo solito nome, ma con un altro che ha un significato più o meno ampio, anche se simile. Fondata essenzialmente su un rapporto di "estensione" della parola, questa figura esprime:

Sinestesìa

Dal greco synaisthánomai, 'percepisco insieme'.
Consiste nell'associare, all'interno di un'unica immagine, nomi ed aggettivi appartenenti a sfere sensoriali diverse, che in un rapporto di reciproca interferenza danno origine a un'immagine vivamente inedita. Frequente nella lingua comune (ad esempio, "colore caldo", in cui la sensazione visiva "colore" è unita alla sensazione tattile "caldo"; e "voce chiara", in cui la sensazione acustica "voce" è unita ad una sensazione visiva come "chiara"), la sinestesìa dà i suoi esiti più significativi nella poesia simbolista e, poi, nella poesia ermetica del Novecento italiano. Così, S. Quasimodo parla di "urlo nero", E. Montale di "fredde luci" e M. Luzi di "voce abbrunata".

Sospensióne

Dal latinotardo suspensione(m).
Figura retorica consistente nell'annunciare vagamente una cosa e poi interrompere o cambiare il discorso, ritornando poi sull'argomento oppure terminandolo.

Io cominciai: 'O frati, i vostri mali...'; / ma più non dissi (Dante).

Puntini di sospensione: i tre punti con cui si indica l'interruzione del discorso.

Tmèsi

Dal latino tardo tmìsi(m), dal greco tmésis, derivato di témnein 'tagliare'.
Figura retorica che consiste nella scomposizione in due parti, quasi sempre su basi etimologiche, di una parola all'interno di una frase, delle quali spesso la prima è posta alla fine del verso e l'altra all'inizio del verso successivo.
Anche detta diacope.

Fece la donna di sua man le sopra-
vesti a cui l'arme converrian più fine.
(L. Ariosto)

Tòpos

Dal greco tópos 'luogo' e, in retorica, 'luogo comune'.
Concetto diffuso fino a divenire luogo comune.
In letteratura, in pittura e nelle arti in genere, situazione tematica ricorrente in un autore, in un genere, in un indirizzo artistico.

Traslàto

Voce dotta, latino translatu(m), participio passato di transferre, composto di tras- 'al di là' e latus 'portato', di origine indeuropea.
Anche translàto. Vedi tropo.

Tròpo

Voce dotta, latino tropu(m), dal greco tropos 'volgimento (verso altra via)', da trepein '(ri)voltare', di origine indeuropea.
Anche detto traslato.
Ogni figura retorica che consiste nell'estendere o mutare il significato di una parola o di un'espressione. Sono tropi, ad esempio, la metafora e la metonimia.

Zeugma

Dal greco zéugma 'aggiogamento'.
Anche detto apozeugma.
Consiste nel far reggere da un unico verbo più enunciati che richiederebbero ciascuno uno specifico verbo reggente.

parlare e lagrimar vedrai insieme
(Dante)

Così, nel verso precedente, il verbo vedere si addice soltanto a "lagrimar" mentre per reggere "parlare" ci vorrebbe un'altra forma verbale come udire o ascoltare.

Riferimenti bibliografici

Marcello Sensini: La grammatica della lingua italiana; Mondadori.
Gianfranca Lavezzi: Breve dizionario di retorica e stilistica; Carocci.
Maria Pia Ellero: Introduzione alla retorica; Sansoni Editore.
Dizionario di italiano; Garzanti.

 

Ultimo aggiornamento: 23 febbraio 2009.

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