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Strano ma verbo

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Vèrbo

Dal latino verbu(m) 'parola'.
Sostantivo maschile [plurale i vèrbi; anticamente anche le vèrba].
1. (antico) Parola; nell'uso attuale sopravvive quasi soltanto in frasi negative: se ne andò senza aggiungere verbo; non farne verbo con nessuno; non disse, non rispose verbo.
Ripetere verbo a verbo: parola per parola.
2. Nella teologia cristiana, la seconda persona della Trinità, intesa come parola eterna o sapienza del Padre; logos.
Verbo di Dio, parola di Dio: Sacra Scrittura.
3. (estensione letteraria) Opinione, discorso, esempio autorevole: i lirici italiani si sono attenuti per secoli al verbo del Petrarca.
4. (grammatica) Parte variabile del discorso che indica un'azione o uno stato in riferimento a un soggetto; a seconda del sistema linguistico di appartenenza, può modificare le sue forme in relazione alla persona, al tempo, al modo, all'aspetto e alla diatesi: «amare», «vedere», «sentire» sono verbi.

La classificazione

I verbi possono essere classificati secondo le seguenti categorie:

Genere:
transitivo (lavare);
intransitivo (andare).

Forma:
attiva (io lavo);
passiva (io sono lavato);
riflessiva (io mi lavo).

Persona:
prima (chi parla: io, noi);
seconda (chi ascolta: tu, voi);
terza (altri: lui, loro).

Numero:
singolare (un soggetto);
plurale (più soggetti).

Tempo:
presente (azione contemporanea);
passato (azione anteriore);
futuro (azione posteriore).

Modo:
finito (fornito di desinenze personali: indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo); indefinito (privo di desinenze: infinito, participio, gerundio).

Funzione:
ausiliare (forma i tempi composti: io sono andato); predicativo (funge da predicato verbale: io mangio); copulativo (unisce il soggetto al nome del predicato: il cielo è azzurro); d'appoggio (ad esempio: io posso parlare).

Coniugazione:
regolare (prima, seconda, terza coniugazione); impersonale (piove); difettiva (solere); sovrabbondante (compiere, compire); irregolare (andare).

La coniugazione

La coniugazione di un verbo è l'insieme ordinato delle diverse forme che un verbo, sia esso attivo, passivo o riflessivo, può assumere per indicare la persona, il numero, il tempo e il modo dell'evento
che si intende rappresentare.
Una forma verbale è, in generale, costituita da due elementi:
la radice, la parte iniziale invariante che trasmette il significato del verbo;
la desinenza o morfema morfologico, la parte finale variabile che trasmette tutte le informazioni necessarie per individuare il numero e la persona del soggetto, il tempo e il modo.

Ad esempio, la forma verbale "amavo" è composta da:
la radice "am",
la desinenza "avo" a sua volta costituita da:
la vocale tematica "a", relativa alla prima coniugazione,
la caratteristica del tempo (imperfetto) e del modo (indicativo) "v",
la caratteristica della persona (prima) e del numero (singolare) "o".

Le coniugazioni verbali regolari sono tre:
prima coniugazione, con verbo all'infinito terminante in "-are" e vocale tematica "a";
seconda coniugazione, con verbo all'infinito terminante in "-ere" e vocale tematica "e";
terza coniugazione, con verbo all'infinito terminante in "-ire" e vocale tematica "i".

Il verbo essere ha una coniugazione propria che gli deriva direttamente dalle corrispondenti forme latine, non ha quindi alcun riferimento con le normali coniugazioni italiane.

Il verbo avere appartiene propriamente alla seconda coniugazione, l'estrema frequenza con cui viene utilizzato e la conseguente usura hanno però portato a notevoli trasformazioni che lo hanno reso molto differente dai verbi di quella coniugazione.

La prima coniugazione

Origine: la prima coniugazione contiene in gran parte i verbi della prima coniugazione latina, per lo più regolari oltre che numerosi, inoltre include molti verbi di nuova generazione, ad esempio tutta la famiglia dei verbi col suffisso -izzare nati nel mondo della tecnica e della politica e derivanti da sostantivi, nomi propri e aggettivi, come standardizzare o coventrizzare.

È la coniugazione con il maggior numero di verbi e con il minor numero di verbi irregolari.

I verbi in "-ciare", "-giare" e "-sciare" perdono al "i" finale della radice davanti alle desinenze che iniziano per "e" e per "i".
Tale tendenza vale anche per verbi come "pronunciare" o "annunciare" in cui la "i" aveva, in origine, valore sillabico, si scrive quindi "annuncerò".
Mantengono invece la "i" i verbi "associare" (associerò) e "effigiare" (effigierò).

I verbi in "-gnare" si comportano regolarmente, quindi presentano la "i" in tutte le forme in cui fa parte della desinenza (prima persona plurale dell'indicativo presente "noi bagniamo" e del congiuntivo presente "che noi bagniamo" e seconda persona plurale del congiuntivo presente "che voi bagniate": la forma "voi bagnate" è relativa alla seconda persona plurale del'indicativo presente).
Poiché la pronuncia nasconde al "i" del gruppo "gnia", nella lingua scritta sono attualmente accettate le forme senza "i": "noi bagnamo" e "che voi bagnate".

I verbi in -iare che alla prima persona singolare dell'indicativo presente hanno accento sulla i (ad esempio invìo, avvìo, scìo, spìo) conservano la i della radice, a patto che essa continui ad essere accentata, anche davanti a desinenze che iniziano con i, quindi si dirà tu avvì-i, che essi avvì-ino.
Nella prima e seconda persona plurale dell'indicativo presente e del congiuntivo presente, dove non è accentata, la i della radice cade davanti alla desinenza iniziante per i: noi avv-iàmo, voi avv-iàte.

Nei verbi in -iare dove nella prima persona singolare dell'indicativo presente la i della radice non è accentata (ad esempio stùdio, dilànio, gònfio), la i cade sempre davanti alla desinenza iniziante con i: tu stud-i, voi stud-iate, che essi stud-ino. La i della radice viene mantenuta di fronte alla desinenza per evitare confusione con altre forme: si dirà quindi tu odii (verbo odiare) per distinguerlo da tu odi (verbo udire), tu varii (verbo variare) per distinguerlo da tu vari (verbo varare).

I verbi che hanno nella radice il dittongo mobile uo dovrebbero, per regola, conservare il dittongo uo quando si trova su sillaba tonica e semplificarlo in o quando l'accento è sulla desinenza. Si dirà quindi: io suòno, tu suòni, egli suòna, e noi soniàmo, voi sonàte, io sonàvo, io sonerò. Nella realtà l'uso è molto più fluido e spesso si trovano eccezioni alla regola descritta. La tendenza attuale è di uniformare la coniugazione dei singoli verbi, utilizzando il dittongo in tutte le forme oppure non utilizzarlo mai.

Il dittongo viene utilizzato in verbi come suonare, tuonare, ruotare, arruolare: si dirà quindi io suòno, io suonerò. Il dittongo non viene utilizzato in verbi come giocare, innovare, rinnovare.
In linea di massima si tende a eliminare il dittongo nei verbi più usati, mantenendolo solo nei casi in cui la semplificazione potrebbe ingenerare delle confusioni, come io vuoto (verbo vuotare) per distinguerlo da io voto (verbo votare), oppure io nuoto (verbo nuotare) per distinguerlo da io noto (verbo notare).

La seconda coniugazione

La seconda coniugazione contiene pochi verbi ma tra essi ci sono quelli più utilizzati in italiano. La maggior parte di essi è irregolare.
Sono confluiti in essa i verbi della seconda coniugazione latina che terminavano in - ere, con la vocale tematica 'e' lunga e quindi accentata (vid-ére -> vedére), e i verbi della terza coniugazione latina che terminavano in -ere, con la vocale e breve e quindi non accentata (lég-ere -> léggere). Per questo motivo la seconda coniugazione presenta sia verbi con la desinenza accentata (temére) che verbi con la desinenza non accentata (rídere). La posizione dell'accento non influisce sulla coniugazione dei verbi.

Appartengono alla seconda coniugazione anche i verbi in -arre (trarre), -orre (porre) e -urre (condurre). Tali verbi nascono dalla contrazione di verbi latini della terza coniugazione in -ere: tráhere -> trarre, pónere -> porre, conducere -> condurre.

Il passato remoto alla prima persona singolare e terza persona singolare e plurale ha due diverse forme: la prima in -è, -è, -erono e la seconda in -ètti, -ètte, -ettero. In genere la prima forma è evitata perché sentita come eccessivamente letteraria, è però preferibile se la radice del verbo finisce in 't': si dirà quindi potei e riflettei piuttosto che potetti e riflettetti.

I verbi in -gnere (ad esempio spegnere) si comportano in modo regolare, presentano quindi la 'i' nelle voci in cui tale vocale fa parte della desinenza: nella prima persona singolare dell'indicativo presente (noi spegn-iamo) e nella prima e seconda persona plurale del congiuntivo presetne (che noi spegn-iamo, che voi spegn-iate). Ultimamente si va comunque diffondendo la forma senza 'i': noi spegnamo ecc.

I verbi con il dittongo 'uo' nella radice (muovere, nuocere, riscuotere) mantengono il dittongo quando è in posizione tonica, semplificandolo nella vocale 'o' quando, nel corso della coniugazione, si trova in sillaba atona o tonica chiusa, cioè terminante in consonante: si ha perciò io muóvo, tu muóvi, egli muóve e noi moviàmo, voi movéte, io movévo, io mòssi. La stessa regola vale per il dittongo 'ie' di verbi come possedere e tenere, avendo quindi io possièdo, tu possièdi, essi possièdono e noi possediàmo, voi possedéte.

La terza coniugazione

La terza coniugazione raccoglie verbi dalle molte forme. Essa contiene i verbi latini della quarta coniugazione, ma anche molti della seconda coniugazione latina (as esempio florere -> fiorire) e della terza coniugazione latina (ad esempio cápere -> capire). Inoltre si arricchisce di verbi di nuova formazione.

Prendendo come modello della flessione dei verbi della terza coniugazione il verbo sentire, possiamo dire che seguono tale modello i verbi: aprire, bollire, divertire, dormire, fuggire e pochi altri.

Gli altri verbi della terza coniugazione alla prima, seconda, terza persona singolare e alla terza persona plurale dell’indicativo presente, del congiuntivo presente e dell’imperativo presente inseriscono tra la radice e la desinenza l’infisso –isc-.
Seguono tale regola i verbi: agire, ammonire, capire, chiarire, costruire, favorire, ferire, finire, fiorire, fornire, guarire, impedire, patire, percepire, preferire, punire, rapire, scolpire, subire, tradire, unire.

Altri verbi possiedono le due forme, senza infisso o con l’infisso. Normalmente viene preferita la forma senza infisso perché più breve: aborrire: aborro/aborrisco, applaudire: applaudo/applaudisco, assorbire: assorbo/assorbisco. inghiottire: inghiotto/inghiottisco, mentire: mento/mentisco, nutrire: nutro/nutrisco, tossire: tosso/tossisco.

Il participio presente è formato con la desinenza –ente: bollente, divertente, seguente. Alcuni verbi sono formati invece con la desinenza –iente: nutriente, obbediente, proveniente. Infine i participi paziente (patire) e senziente (sentire) sono derivati direttamente dalle corrispondenti forme latine.

Il verbo cucire mantiene il suono dolce della c in tutta la coniugazione, aggiunge quindi la i davanti alle desinenze inizianti per a oppure o: io cuc-i-o, noi cuc-i-amo.
Il verbo fuggire modifica la g dolce in g dura davanti alle desinenze inizianti per a oppure o, non viene inserito quindi alcun segno grafico: io fuggo, tu fuggi, essi fuggono, che io fugga.

I tempi verbali: reggente e dipendente

Vedremo le regole sintattiche che definiscono i rapporti tra i tempi verbali delle proposizioni
reggenti e dipendenti.
A questo scopo distingueremo i tempi verbali tra principali e storici.

Tempi principali sono:
per il modo indicativo il presente (amo),
il futuro semplice (amerò),
il futuro anteriore (avrò amato),
e il passato prossimo (ho amato);
per il modo congiuntivo il presente (che io ami),
e il passato (che io abbia amato);
per il condizionale il presente (amerei).

Tempi storici sono:
per il modo indicativo l’imperfetto (amavo),
il passato prossimo (ho amato),
il trapassato prossimo (avevo amato),
il passato remoto (amai),
e il trapassato remoto (ebbi amato);
per il congiuntivo il passato (che io abbia amato),
l’imperfetto (che io amassi),
e il trapassato (che io avessi amato);
per il condizionale il passato (avrei amato).

Si noti che il passato prossimo dell’indicativo e il passato del congiuntivo possono fungere sia da tempi principali che storici.

Vale la regola generale: a una proposizione reggente con tempo principale corrisponde una dipendente con tempo principale e, analogamente, a una reggente con tempo storico corrisponde una dipendente con tempo storico.
Considereremo nel seguito i due casi:
la reggente esprime certezza,
la reggente esprime incertezza, possibilità, opinione.

 

Caso in cui la reggente esprime certezza

1) Se il verbo è al presente indicativo (tempo principale), la dipendente avrà:
- se l’azione è contemporanea alla reggente, il presente indicativo:
sono certo che Mario parte;
- se l’azione è anteriore e recente, accaduta in un periodo di tempo (settimana, mese, anno, ...) non ancora trascorso, il passato prossimo:
sono certo che Mario è partito questa settimana;
- se l’azione è anteriore e accaduta in un periodo di tempo già concluso, il passato remoto:
sono certo che Mario partì la settimana scorsa;
- se l’azione è posteriore, il futuro semplice:
sono certo che Mario partirà.

2) Se la reggente ha il verbo all’imperfetto indicativo (tempo storico), la dipendente avrà:
- se l’azione è contemporanea, l’imperfetto indicativo:
ero certo che pioveva;
- se l’azione è anteriore, il trapassato prossimo indicativo:
ero certo che era piovuto.
- se l’azione è posteriore, il condizionale passato:
ero certo che sarebbe piovuto.

3) Se la reggente ha il verbo al futuro semplice (tempo principale), la dipendente avrà:
- se l’azione è contemporanea o posteriore, il futuro semplice:
ti riferirò ciò che vedrò;
- se l’azione della dipendente, pur essendo futura, avviene prima di quella della reggente, il futuro anteriore:
ti riferirò ciò che avrò visto;
- se l’azione è già accaduta, il passato prossimo o remoto:
ti riferirò ciò che ho visto, oppure, ti riferirò ciò che vidi.

4) Se la reggente è al passato remoto (tempo storico), la dipendente avrà:
- se l’azione è contemporanea, l’imperfetto o il passato remoto indicativo:
mi accorsi che non mi capiva, oppure, mi accorsi che non mi capì;
- se l’azione è anteriore, il trapassato prossimo:
mi accorsi che non mi aveva capito;
- se l’azione è in rapida successione ed è introdotta da una locuzione come non appena, dopo che o simili, il trapassato remoto:
me ne andai non appena mi ebbe capito;
- se l’azione è posteriore, il condizionale passato:
mi accorsi che non mi avrebbe capito.

5) Se la reggente è al passato prossimo o al trapassato prossimo (tempi storici), la dipendente avrà:
- se l’azione è contemporanea, l’imperfetto indicativo:
ho saputo che partiva, avevo saputo che partiva;
- se l’azione è anteriore, il trapassato prossimo:
ho saputo che era partito, avevo saputo che era partito;
- se l’azione è posteriore, il condizionale passato:
ho saputo che sarebbe partito, avevo saputo che sarebbe partito.

 

Caso in cui la reggente esprime incertezza, possibilità, opinione.

1) Se la reggente è al presente indicativo (tempo principale), la dipendente avrà:
- se l’azione è contemporanea, il congiuntivo presente:
spero che Gianni torni;
- se l’azione è anteriore, il congiuntivo passato:
spero che Gianni sia tornato;
- se l’azione è posteriore, il futuro semplice:
spero che Gianni tornerà.

2) Se la reggente è all’imperfetto indicativo (tempo storico), la dipendente avrà:
- se l’azione è contemporanea, l’imperfetto congiuntivo:
temevo che partissero;
- se l’azione è anteriore, il trapassato congiuntivo:
temevo che fossero partiti;
- se l’azione è posteriore, il condizionale passato:
temevo che sarebbero partiti.

3) Se la reggente ha il futuro semplice (tempo principale), la dipendente avrà:
- se l’azione è contemporanea, il presente congiuntivo:
mi illuderò che tu vinca;
- se l’azione è anteriore, il congiuntivo passato:
mi illuderò che tu abbia vinto;
- se l’azione è posteriore, il futuro semplice:
mi illuderò che tu vincerai.

4) Se la reggente ha il passato remoto (tempo storico), la dipendente avrà:
- se l’azione è contemporanea, il congiuntivo imperfetto:
mi illusi che mi amasse;
- se l’azione è anteriore, il congiuntivo trapassato:
mi illusi che mi avessi amato;
- se l’azione è posteriore, il condizionale passato:
mi illusi che mi avrebbe amato.

5) Se la reggente è al passato o al trapassato prossimo (tempi storici), la dipendente avrà:
- se l’azione è contemporanea, l’imperfetto congiuntivo:
mi sono illuso che arrivasse, mi ero illuso che arrivasse;
- se l’azione è anteriore, il congiuntivo trapassato:
mi sono illuso che fosse arrivato, mi ero illuso che fosse arrivato;
- se l’azione è posteriore, il condizionale passato:
mi sono illuso che sarebbe arrivato, mi ero illuso che sarebbe arrivato.

Il periodo ipotetico.

È formato dall’unione di due proposizioni:
la pròtasi (dal greco pròtasis, premessa), dipendente contenente una condizione e
l’apòdosi (dal greco apòdosis, restituzione), reggente contenente la conseguenza logica della condizione.

Esistono tre tipi di periodo ipotetico.
1) Della realtà.
Viene utilizzata quando l’ipotesi è un fatto indubitabile. I verbi sono utilizzati all’indicativo con il medesimo tempo:
se vai a destra perdi;
se andrai a destra perderai (ora sulla Parolata ci permettiamo anche una satira politica graffiante).
In luogo del "se" potrebbero essere utilizzati indifferentemente "dal momento che, poiché".

2) Della possibilità.
Viene utilizzato quando l’ipotesi è possibile ma non sicura. La dipendente deve essere al congiuntivo imperfetto e la reggente al condizionale presente:
se vincessi al superenalotto partirei per un bel viaggio.

3) Della irrealtà.
Viene utilizzato quando l’ipotesi è irrealizzabile.
Se l’intero periodo è riferito al presente i verbi sono utilizzati con i tempi del caso di periodo ipotetico della possibilità:
se tu fossi nei miei panni, non mi parleresti così.
Se l’intero periodo è riferito al passato, la dipendente deve essere al congiuntivo passato, la reggente al condizionale passato:
se avessi vinto al superenalotto sarei partito per un bel viaggio.
Se la reggente è riferita al presente, il suo verbo deve essere al condizionale presente, la dipendente rimane al congiuntivo passato:
se avessi dormito mi sentirei molto meglio.

Appunti vari

Si può dire indifferentemente io languìsco o io lànguo, tu languìsci o tu làngui ecc.

 

Il participio passato in un verbo composto a chi viene accordato?

Se l'ausiliare del verbo è "avere", il participio passato rimane invariato in genere e numero rispetto al soggetto e all'oggetto:
Giuseppe ha trovato la penna
oppure
Maria ha trovato la penna.
Nel caso il complemento oggetto preceda il verbo, si può anche concordare in genere e numero il participio passato con esso, anche se normalmente lo si continua a mantenere invariato:
Datemi la penna che Evelino ha trovato
oppure
Datemi la penna che Evelino ha trovata (meno comune).
Infine, ed è il caso dell'esempio, quando il complemento oggetto è costituito dai pronomi lo, la, li e le la concordanza è obbligatoria:
Avevo perso la penna ma l'ho trovata.

Nel caso l'ausiliare sia "essere", il participio passato si accorda in genere e numero con il soggetto:
Carla è andata,
i fratelli sono andati.
Per i verbi riflessivi apparenti e i verbi pronominali seguiti da un complemento oggetto, il participio passato viene accordato con il complemento oggetto oppure, meno comunemente, con il soggetto:
Maria si è lavata le mani
oppure
Maria si è lavate le mani (meno comune).

 

Come si coniugano il verbo odiare e udire alla seconda persona singolare dell'indicativo presente?

Il verbo odiare è formato a partire dalla radice odi-, e si coniuga in modo regolare, quindi:
io odi-o, tu odi-i, egli odi-a eccetera. L'accento per la seconda persona è sulla o, ma non è neccessario scriverlo.
Il verbo udire invece ha la radice od- (quando la radice è accentata) oppure ud- (quando la radice non è accentata), e la coniugazione è regolare, quindi:
io od-o, tu od-i, egli od-e, noi ud-iamo, voi ud-ite, essi od-ono. Anche in questo caso l'accento per la seconda persona singolare è sulla o ma non deve essere scritto.

 

Come si coniuga il verbo riempire? Spesso si leggono frasi come "l'agenda si riempe".

Ricordiamo quindi che riempire è un verbo irregolare, e la sua coniugazione è la seguente.
Presente: riempio, riempi, riempie, riempiamo, riempite (o riempiete), riempiono.
Imperfetto: riempivo, riempivi, riempiva, riempivamo, riempivate, riempivano.
Passato remoto: riempii (o riempiei), riempisti (o riempiesti), riempì (o riempié), riempimmo (o riempiemmo), riempiste (o riempieste), riempirono (o riempierono).
Futuro: riempirò, riempirai, riempirà, riempiremo, riempirete, riempiranno.
Congiuntivo presente: riempia, riempia, riempia, riempiamo, riempiate, riempiano.
Congiuntivo imperfetto: riempissi, riempissi, riempisse, riempissimo, riempiste, riempissero.
Condizionale presente: riempirei, riempiresti, riempirebbe, riempiremmo, riempireste, riempirebbero.
Gerundio: riempiendo.
Participio passato: riempito (o riempiuto).
Participio presente: riempiente.

 

 

Ultimo aggiornamento: 5 marzo 2023.

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