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Iperromanzi del passato

di Piero Fabbri

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Iperromanzi del passato

Di Piero Fabbri

È evidente che il tema che stiamo affrontando vive di contraddizioni, o quantomeno di mancanza di definizioni. È stato ben distinto nel precedente saggio Cos'è un iperromanzo la differenza tra iperromanzo di "contenuto" e di "forma", esaspererei ora il concetto mostrando che la contaminazione è di fatto necessaria, l'ambiguità inevitabile, per l'idea stessa di iper-narrazione. Usiamo il vecchio trucco dei matematici: quando esiste un problema di classificazione, guardarne gli estremi: un'ellisse fai fatica a definirla? Beh, se vuoi coprire davvero tutti gli aspetti "ellittici" devi tener conto anche dei limiti esasperati: un'ellisse molto allungata è un segmento, una che non è allungata per niente è un cerchio. Ergo, quel che dici su un'ellisse deve, in qualche maniera, rimanere valida (mutatis mutandis) anche per cerchio e per il segmento.

Negli iperromanzi - e nei romanzi complessi - le due dimensioni che si modulano sono quella che potremmo chiamare orizzontale (ovvero la narrazione lineare e puramente sequenziale della trama) e quella verticale (ovvero i salti quantici fuori della narrazione, corrispondenti al click sul link dell'ipertesto).
Gli estremi sono, da una parte, una narrazione lineare e piatta, senza deviazione alcuna dalla trama principale, raccontata senza neanche un flashback, neanche una chiosa. Potremmo dire una narrazione a filastrocca: a ben vedere, ormai è difficile trovare romanzi così noiosamente lineari: sospetto (ma non sono sicuro) che perfino Moccia usi di tanto in tanto qualche movimentazione narrativa. Anzi no: forse ho un esempio migliore e più nobile, che è quello delle celebri unità di narrazione tragica teatrale: ve le ricordate? Unità di tempo (tutto in un tempo limitato), unità di spazio (tutto in uno spazio limitato), di azione (azione ben concentrata, senza deviazioni né fronzoli). Vi ricordate quando si studiava Manzoni, che ci dicevano che già lui violava le tre unità classiche? Okay, filastrocca o teatro classico che sia, ci siamo spiegati, credo, sul concetto di narrazione orizzontale.
L'altra, quella verticale, è data ovviamente dall'uscita della trama per raccontare un'altra storia, o episodio, o piccola chiosa. Qual è l'estremizzazione della narrazione verticale? È la perdita assoluta di quella orizzontale, ovvero la lettura dei soli rimandi. La chiamerei "narrazione enciclopedia", perché è come leggere un'enciclopedia: ogni voce è un "salto verticale", che quando si chiude rimanda alla successiva voce nell'ordine alfabetico. Nessun legame tra una voce e l'altra, se non la sequenza alfabetica (ma anche fosse sequenza di trama, che cambierebbe? È come se ogni parola d'una frase fosse un link, no? "Nel mezzo del cammin di nostra vita", con click possibili su "nel" su "mezzo", su "del", e così via). La narrazione orizzontale perduta o inesistente, che serve solo a far da piattaforma ai salti verticali.

Questi i due estremi, allora. Ma le complicazioni hanno la capacità di riprodursi, e dobbiamo anche aspettarci che esse possano evolvere in modo imprevisto. È facile capire che iper-romanzo è termine coniugato da iper-testo (almeno adesso: non credo che Calvino pensasse a questo, all'epoca delle Lezioni Americane), e allora esiste un parallelo facile e immediato, per gente del 2008. La banale navigazione su web: si può entrare in rete, trovare un testo - che so, un breve saggio, giusto come questo - e leggerlo dall'inizio alla fine. Per quanto non sia pura narrazione, è comunque un testo piano, scritto in orizzontale e in orizzontale letto. E questa è una.
Ma si può anche decidere di cercare la parola "iperromanzo" con Google: vedere una serie di link, esplorare i primi due, saltare sul terzo: scoprire che lì si fa riferimento a Calvino, quindi girare su Wikipedia e leggerne la vita: lasciarsi distrarre dal fatto che ha lavorato all'Einaudi, finire dentro quel catalogo, ritrovarci le memorie di Adriano della Yourcenar, ricordarsi del Vallo Adriano, andare a vederne le foto nelle highlands scozzesi, fare un giro su Google Earth per la Scozia, riconoscere il Loch Ness, vedere le presunte foto di Nessie, tornare indietro alla Scozia in generale, dimenticarsi di Calvino e di Adriano, vedere le highlands e ricordarsi di Highlander (whisky) e poi di Highlander (film), ricordarsi che dentro c'era Sean Connery, che aveva fatto 007, finire a vedere la locandina di Missione Goldfinger, rivedere Ursula Andress in bikini, scoprire l'etimologia di bikini, costume da bagno e isola bombardata, subire una rapida eccitazione per colpa dell'attrice svizzera, piegare infine sul sito di Playboy.

Perché questa manfrina? Ma per spiegare che la verticalità, una volta aperta, ha a sua volta altri piani verticali, naturalmente a loro volta verticalizzabili, che possono davvero uccidere la narrazione. Chi ha mai programmato sa bene come si indenta: ad ogni push, indentatura verso destra, dovrà poi corrispondere il "pop", indentatura verso sinistra. Il programma funzionerà solo e soltanto se ad ogni push corrisponde il suo bravo pop.
Nella narrazione come la conosciamo noi - almeno finora - vale la stessa regola: la storia sta in piedi se tutte le chiose, episodi, storie parallele si chiudono e rientrano. Altrimenti non si capisce dove si va a parare. Però, a bene vedere, nessuno obbliga un autore ad "andare a parare" da una parte. Il nostro web-surfer che è partito da iperromanzo per finire in mezzo a donne discinte ha comunque letto, esplorato, vissuto una precisa esperienza. Non coerente e conclusa, ma certo esperienza densa e autentica.

Quindi, ci servono definizioni: anche un iperromanzo deve essere chiuso? Può avere storie interne, verticali, parallele, storie nelle storie, multilevel, a patto che poi tutto si chiuda e ritorni, come in un programma di computer ben formato? Se è così, allora la bestia è ancora maneggiabile. Se invece è iperromanzo anche il pezzo di vita narrata link su link su link su link, senza alcuna necessità di coerenza narrativa, allora la cosa è diversa.

Quando Calvino conia il termine, mi sembra che si stia riferendo al Conte di Montecristo di Dumas. Non mi ricordo se ne parla in via ipotetica, (ma credo di sì), esplorando cioè trame alternative; se Faria non morisse, se Danton non trovasse il tesoro ecc. Il tutto, nella nota sperimentazione dell'Oulipo, no? Quella dei "Centomila miliardi di poesie", scritte coi versi intercambiabili; quella di Queneau e i suoi Esercizi di stile; ma anche quella di Borges (che non mi pare avesse niente a che vedere con l'Oulipo) e il suo "Giardino dei sentieri che si biforcano", o anche con la sua "Biblioteca di Babele".

In questo senso, tutto sommato "ben formato" di narrazione, di esempi antichi ce ne sono tanti, direi quasi tutti. Avete mai letto "I tre moschettieri"? E i seguiti, "Vent'anni dopo" e "Il Visconte di Bragelonne"? Sono fumettoni lunghissimi, tra tutti e tre fanno 2000 pagine scritte fitte. La storia dei tre moschettieri come la conosciamo noi sta tutta nelle prime cento pagine, forse anche meno. Ma la storia continua, si biforca, devia, torna indietro... ci saranno almeno 500 pagine, ad un certo punto, in cui si parla di Luigi XIV e delle sue favorite; con un sacco di pettegolezzi e di storie nelle storie. Poi la storia ritorna ai moschettieri, quando uno se li è già dimenticati da un bel po'.
Oppure pensa a Manzoni (cavolo, due citazioni in un solo scritto, e manco mi piace) con le sue storie nelle storie: la peste, l'episodio della ragazzina morta consegnata dalla madre ai monatti, tutta la deviazione della Monaca di Monza, prima di rientrare nella trama. O addirittura l'invenzione ante litteram degli spin-off, con la Storia della Colonna Infame.
Ma se contano davvero le semplici uscite di trama, pensate al libro più antico del mondo, o quasi: l'Odissea. È già una narrazione lontana dalla pura "narrazione orizzontale", no? Ha già una regia spessa, dinamica: l'introduzione con la Telemachia, quattro libri in cui il protagonista Ulisse non è presente, ma solo immanente. Poi arriva sulla scena, ma in un tempo che è già conclusivo, prossimo al ritorno a casa: anche se la storia principale, invece, è narrata come racconto nel racconto, con Ulisse - e non Omero: doppio salto - che la narra alla corte di Antinoo. Poi il push si chiude con il pop della distruzione di Troia, Ulisse smette di raccontare, torna al presente narrato e va finalmente ad Itaca.

In un certo senso, perfino i romanzi più vecchi del mondo hanno qualcosa degli iperromanzi. In un altro senso, quello dei superclick tecnologici, tutti sempre cliccabili e sempre percorribili, neanche vincolati a rientrare nella storia, temo che non ne sia stato scritto nemmeno uno. Ma solo perché non è umanamente possibile farlo.

 

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Data di pubblicazione: 9 marzo 2008.

Parolata.it è a cura di Carlo Cinato.
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