Terra. Bruna. Argilla secca. Cemento ruvido. Grumi di fango. Frammenti di zolle. Roccia scavata nella montagna. Muri ocra nel deserto. L'uomo cambia l'ambiente. L'uomo non può non cambiare l'ambiente. La terra non è indifferente all'uomo, come è indifferente a un serpente, che striscia nel fango, una leggera scia unico ricordo del suo esistere. Una talpa: gallerie scavate nel terreno, indistinte dai tortuosi percorsi delle radici di un tiglio. Un elefante: enorme, pesante, eppure lieve e delicato nella savana: un ramo rotto, un albero defogliato, una pozza di fango. Null'altro.
Un uomo non vive sulla terra, non si adatta alla flora, non subisce la fauna. Un uomo piega il ramo fino a spezzarlo, scheggia una pietra affilandola, scava una grotta, intreccia le radici, unisce tutto questo e realizza un rifugio per la notte, e accende un fuoco: perché la caverna è umida, perché la foresta è pericolosa, perché il vento è gelido, perché. Perché l'uomo prova noia delle cose: deve farle sue, deve sentirle vive, non statiche ma in evoluzione continua.
Frrh vaga nell'erba alta, il collo fragile terminato dalla capocchia della testa, lo sguardo indifferente all'orizzonte. Nessun predatore. Lo sguardo puntato più vicino. Le altre giraffe del gruppo: Innen più lontano, Irras qui accanto. Lo sguardo spazzola i dintorni. Alberi di acacia, un boschetto non lontano. Si avvicina, lentamente, che fretta c'è, ci sono foglie per tutti: è stata un'estate umida, le foglie sono buone e lui, quando il sole è a picco, ha già brucato più di quello che gli serve per l'intera giornata. Ma, che fare? Mangiare, questa è la sua occupazione principale. Nel tempo libero, quando non è di guardia per il gruppo, quando non deve spingere lo sguardo lontano per intuire spostamenti nell'erba, quando non deve annusare l'aria per capire se qualche leone inesperto si avvicina sopravento, nel tempo libero passeggia, guarda, mangia. E si annoia.
Gli altri maschi sono come lui: mangiano, guardano, annusano. E si annoiano, solo non lo sanno. Frrh invece lo sa: una disgrazia, sapere di annoiarsi. Perché nel momento in cui sai di annoiarti, non hai scampo. Soccombi. Oppure ti inventi un mondo. Te lo costruisci tu, se sei una giraffa, il tuo mondo, perché se sei una giraffa non sai leggere, anche se non sai di non sapere leggere. Se sai di annoiarti ti annoi, ma se non ti annoi non saprai mai null'altro: non andrai mai oltre, non strapperai mai la membrana invisibile che circonda il tuo essere, che ti mantiene nei confini della giraffitudine.
Frrh, quindi, a un certo punto si annoia. All'improvviso. Stava guardando a media distanza, l'abitudine gli diceva di cercare degli alberi di acacia: questo fanno le giraffe. E gli alberi di acacia erano lì, non lontani da lui, ma.
Appena li scorge li trova noiosi. Alberi. Di acacia. Tutta la vita.
Deve esserci qualcos'altro, per una giraffa, oltre agli alberi di acacia. Sì, ci sono i leoni. E poi ci sono le giraffe femmine, e a lui piacevano le giraffe femmine. E poi l'acqua calda, nelle pozzanghere, o addirittura tiepida, nel ruscello. E poi c'è il sonno. E poi la pioggia, e il sole. Ci sono tante cose nella vita di una giraffa. Perché ora trova noiose le acacie? Perché ora trova noioso l'orizzonte?
Frrh si allontana un po' dai compagni - non tanto: annoiato, non stupido - e inizia a guardarsi intorno, vede una pietra, la mangia poi la sputa, poco prima di soffocarsi. Si avvicina a un'acacia e, invece di strappare le foglie con le labbra, prende il legno tra i denti e, ruotando la testa cerca di spezzarlo, inutilmente. Due giorni dopo inizia a provare qualche figura di passo, a volte addirittura rischiando di cadere. I compagni, poco distanti, ogni tanto danno un'occhiata a Frrh poco interessati alle sue fatiche, e si chiedono come mai non sia con loro a mangiare foglie, come faceva sino a poco prima. Frrh prova e riprova i passi, è oramai diventata la sua occupazione principale: mangia molto meno, solo quando è affamato, e per poco tempo, smanioso come è di migliorare le sue evoluzioni. Poi è la volta dei salti, sopra i cespugli, sopra i fossi, con la rincorsa oppure da fermo: i miglioramenti sono lenti, la tecnica deve inventarla lui da solo perché sembra che nessuno dei suoi amici, neanche Irras, il vecchio compagno di giochi, siano interessati alle sue occupazioni e preferiscano mangiare. Già, mangiare: Frrh ha perso molto peso negli ultimi tempi: mangia poco, spesso controvoglia, e l'erba e le foglie non sono tanto energetiche da mantenere in salute un marcantonio di giraffa come lui. A malincuore deve ridurre il tempo dedicato all'allenamento, se non vuole ammalarsi, e aumentare il tempo speso per nutrirsi. Stupito, si accorge che le foglie di acacia non sono male, anzi, gli piacciono, e gli piacciono in un modo diverso rispetto a prima: sono croccanti o morbide, dolci o piccanti, secche e dure o fresche e tenere: le foglie gli danno molte sensazioni diverse, mentre una volta erano foglie e basta, al massimo riconosceva le foglie appena formate dalle foglie oramai vecchie. Adesso prova piacere anche nel nutrirsi: non è più un peso e una perdita di tempo prezioso, ma è parte delle sensazioni che la vita può dargli e di cui è assetato. Divide il tempo ora più equamente tra i propri allenamenti e le occupazioni delle giraffe: nutrirsi, lavarsi, dormire, fare la guardia. Sì, perché anche i turni di guardia non gli pesano, e nemmeno l'orizzonte gli viene più a noia: si mette a scrutare con attenzione gli alberi, gli animali, le montagne, studia i comportamenti delle gazzelle, il modo di camminare dei topi, il movimento degli alberi al vento. Magari si distrae, a volte, dal suo compito principale, però i periodi di guardia sono diventati dei momenti di studio del mondo.
E poi, mangiando e facendo la guardia, può pensare. Pensare a cosa può nascondersi sotto l'orizzonte, a un nuovo modo di saltare, a come salutare l'indomani Bnnne, la sua compagna, in modo da stupirla. E inventa delle storie: immagina di volare, di viaggiare, di affrontare un leone piuttosto che scappare, di essere un topo. Dapprima Frrh è soddisfatto semplicemente nel pensare queste storie, poi sente il bisogno di raccontarle, di condividerle, allora si riavvicina ai compagni, che aveva trascurato da lungo tempo, troppo occupato a esplorare il mondo. Comincia così a narrare storie, a spiegare le proprie idee ai compagni. Le altre giraffe sono stupite, innanzitutto di scoprire nuovamente socievole il vecchio Frrh, poi di sentirlo così desideroso di raccontare e parlare, lui, che non era mai stato un chiacchierone, infine di sentire usare la lingua delle giraffe in un modo così fantasioso, denso di significati. Non capiscono tutto ciò che Frrh dice loro, ma sono contenti, e non sanno perché, che l'amico racconti quelle cose strane, che parli loro con tale passione. E la giraffa cantastorie ricomincia anche ad ascoltare gli amici, a fare domande che essi non comprendono, ad ascoltare le risposte imbarazzate e timide, a partecipare alle loro preoccupazioni.
Frrh, nel suo modo da giraffa, fu grato alla noia: ora la sua vita era degna di essere vissuta.
Mario non provava noia, non l'aveva mai provata, aveva troppi impegni e troppo poco tempo: tutti i giorni in ufficio, il sabato in discoteca, ore in automobile nel traffico, poi guardare la televisione, andare in palestra, giocare con la playstation, lavare l'auto. Cos'era la noia? Non l'avrebbe neanche riconosciuta, se l'avesse provata.
Il racconto ha partecipato al concorso "L'immagine parla" organizzato dall'associazione culturale Il Maestrale ed è stato premiato tra i migliori dieci.
Pubblicato a dicembre 2006.