Cosiddetti iperromanzi che iperromanzi non sono
In questo breve saggio non verranno analizzati in modo approfondito dei veri e propri romanzi complessi, piuttosto verranno trattati brevemente alcuni romanzi che sono indicati da qualche parte essere degli iperromanzi, ma che noi pensiamo siano dei normali romanzi senza particolari caratteristiche di complessità. A ogni romanzo verrà assegnato al solito il voto di complessità dei contenuti. Ovviamente, per la sua struttura, il saggio rimarrà aperto a ulteriori sviluppi, infatti a mano a mano che verranno scoperti libri indicati come iperromanzi che non corrispondono alla nostra idea di romanzo complesso verranno inseriti nell'elenco. Ciò permetterà, seppure in modo empirico, di arrivare a una definizione attraverso gli esempi di che cosa è e che cosa non è un romanzo complesso.
L'uomo nell'alto castello, di Philip K. Dick
Analizzeremo il romanzo di Philip Dick "The man in the high castle", pubblicato nel 1962 e precedentemente tradotto in italiano col titolo di "La svastica sul sole". Si tratta di un'ucronia, cioè è una storia basata su ipotesi fittizie: nella fattispecie narra dei fatti accaduti in America del nord supponendo che le forze dell'Asse abbiano vinto la seconda guerra mondiale e abbiano sottomesso il mondo. Gli Stati Uniti d'America sono divisi in quattro parti: gli stati della costa est sono sotto il controllo tedesco, gli stati della costa ovest sono sotto il controllo giapponese, gli stati del sud sono semi-indipendenti e gli stati delle montagne rocciose fungono da cuscinetto tra le due superpotenze.
Il libro narra le storie ambientate in California e negli stati centrali di Frank Frink, un ebreo; di sua moglie Juliana Frink; di Nobusoke Tagomi, funzionario del Giappone in California; di Robert Childan, antiquario, e di Baynes, tedesco oppositore del regime nazista. Le storie dei personaggi sono narrate alternativamente e hanno poche correlazioni tra di loro. Una parte importante nella trama hanno infine due libri: "I Ching", il libro utilizzato come oracolo nella cultura giapponese, e un libro illegale, "La cavalletta non si alzerà più", che a sua volta narra di un mondo ipotetico in cui i vincitori della seconda guerra mondiale sarebbero gli Stati Uniti d'America e la Gran Bretagna.
Dopo questa sommaria presentazione del libro possiamo analizzarne i contenuti. La prima domanda da porsi è: perché questo libro viene spesso indicato essere un iperromanzo, oppure romanzo complesso nella nostra accezione? Sinceramente, non lo so. Gli argomenti a favore, mi sembra, potrebbero essere tre.
Il primo argomento riguarda la costruzione del libro con le storie dei vari personaggi che si intrecciano tra di loro e si avvicendano nelle pagine. Questo porta ad avere una costruzione frammentaria del mondo che è succeduto alla fine della seconda guerra mondiale, poiché il contesto in cui si svolge il romanzo viene spiegato, in modo abbastanza sommario, solo oltre la metà del libro. La struttura del libro con i racconti degli eventi dei singoli personaggi non presenta però particolarità di rilievo: la sequenza temporale dei diversi brani è cronologica, i diversi racconti si alternano ma rimangono tra di loro relativamente indipendenti. Tutto ciò, come ci ha spiegato Piero Fabbri in un saggio precedente, non può essere considerato una novità, nemmeno 1962, anno di uscita del romanzo.
Il secondo argomento potrebbe essere ciò che Dick ha dichiarato in una intervista: che ha utilizzato per lo sviluppo della trama, in alcuni passaggi importanti, il libro dei I Ching per farsi indicare la strada da prendere. Questo potrebbe in qualche modo richiamare il filone dei romanzi combinatori (che tratteremo in un prossimo saggio), cioè romanzi costruiti permutando in modi diversi un numero finito di elementi di base. La caratteristica di questo tipo di romanzi è però quello di presentare più storie ottenute da varie combinazioni di elementi di base, mentre nel caso in questione ciò che leggiamo è semplicemente una possibile sequenza di eventi casuali su cui è stata costruita la storia. Insomma: se la trama è stata costruita da Dick tramite I Ching oppure in preda alla droga o ancora perché si tratti di una storia vera, ebbene, questo non può e non deve avere alcuna importanza sul fatto di chiamare romanzo complesso la sua opera.
Infine il terzo possibile argomento riguarda proprio l'ipotesi di partenza del romanzo: poiché tutto il mondo del libro parte dal presupposto che la seconda guerra mondiale abbia avuto dei vincitori diversi da quelli reali, si potrebbe considerare il romanzo come facente parte di un mondo parallelo, alternativo e possibile nell'insieme infinito dei mondi virtuali, così come era stato descritto da Borges nel racconto "Il giardino dei sentieri che si biforcano". Non mi sembra proprio che Dick abbia voluto, a differenza di Borges, descrivere l'universo come insieme di tutti gli infiniti mondi ottenibili realizzando tutte le scelte possibili che di volta in volta si presentano. Piuttosto, Dick ha voluto descrivere un mondo possibile, altrettanto reale rispetto all'attuale, ma differente e comunque unico, segregando il mondo ottenibile variando le ipotesi iniziali alla sfera della fantasia, come è per il mondo non nazista descritto nel libro proibito della "cavalletta". Quindi, in modo simile al punto precedente, Dick è interessato alla singola realizzazione, al singolo mondo, trascurando tutti i mondi paralleli, contemporanei e fittizi, in questo modo evitando la lezione di Borges.
Complessità di forma: 0/10
Si tratta di un normale libro che deve essere letto in modo sequenziale.
Complessità di contenuti: 3/10
Non si ravvisano particolarità che lo pongano a un livello superiore rispetto a un normale romanzo del novecento. L'unico artificio complesso utilizzato è di avere storie più o meno contemporanee che si sviluppano parallelamente e vengono narrate in modo alternato.
In definitiva, personalmente ritengo che "L'uomo nell'alto castello" non debba essere considerato un romanzo complesso. Probabilmente il termine iperromanzo viene spesso malinteso, oppure semplicemente si ritiene che faccia effetto associare in una recensione o un riassunto il termine "iperromanzo" a un qualche romanzo nemmeno troppo complesso, magari solo perché contiene qualche storia intrecciata. Durante le prossime analisi non cascherò in questo vile tranello, in futuro verrà creato in questa pagina un elenco di titoli di libri che sono stati definiti da qualche parte come iperromanzi pur non avendone le caratteristiche, evitando così di perdere tempo per farne una analisi completa.
Centuria, di Giorgio Manganelli
Voto alla complessità dei contenuti: 2/10
Il libro non è propriamente un romanzo, piuttosto è un insieme di 100 (in realtà di più) brevi brani, circa una pagina ognuno, in cui si descrive un personaggio. I brani sono indipendenti e conclusi, ognuno è un romanzo di per sé, conciso, netto, centrato su un singolo personaggio, possono essere letti ognuno per conto suo e non esiste la possibilità di avere una sequenza di lettura. Il libro potrebbe essere avvicinato maggiormente a un catalogo di personaggi e le loro gesta piuttosto che a un romanzo classico. Proprio per questa loro indipendenza spinta non è possibile vedere una struttura o un significato al di sotto dei singoli brani (o meglio, Manganelli ha fatto in modo che non esistesse un senso sotteso al libro).
Palomar, di Italo Calvino.
Voto alla complessità dei contenuti: 2/10
Analogamente al libro precedente di Manganelli, il romanzo di Calvino è costituito da elementi brevi e tra di loro indipendenti; in questo caso si tratta delle storie di un singolo personaggio, Palomar, un uomo alle prese con alcuni momenti della vita quotidiana e che li vede in un ottica molto più ampia, cosmica. Analogamente al libro di Manganelli, l'impossibilità di scorgere un disegno sotteso alla semplice elencazione di situazioni differenti e alla presentazione di vari punti di vista sul mondo non ci permette di assegnare un'alta complessità al libro. In realtà, comunque, una struttura sottesa al romanzo esiste: si tratta di una struttura ternaria, dove il libro è diviso in tre parti, ognuna di esse è divisa in altre tre parti, a loro volta divise in tre paragrafi. La posizione di ogni paragrafo all'interno del libro definisce, attraverso alcune regole, il contenuto del paragrafo e il modo in cui è scritto. Tutta la struttura data al libro lo rende quindi un esempio di letteratura combinatoria, argomento che verrà trattato più esaurientemente in un prossimo saggio e che, a nostro avviso, non porta alla costruzione di un romanzo complesso, piuttosto permette di dare una architettura omogenea e matematica al libro. La letteratura combinatoria rimane confinata alla modalità di costruzione del romanzo, di per sè non si esprime a livello di contenuti, come invece dovrebbe avvenire nel caso dei romanzi complessi.
Il castello dei destini incrociati, di Italo Calvino
Arduo compito descrivere il motivo del perché il Castello non sia un iperromanzo, visto che Calvino stesso, inventore del termine "iperromanzo", lo annoverava in questa categoria. Il libro è costituito da due gruppi di storie, ogni gruppo è un insieme di più storie, ogni storia è narrata a partire da una sequenza di carte dei tarocchi, il tutto infine è realizzato in modo che un mazzo completo di carte sia utilizzato per raccontare tutte le storie appartenenti a un gruppo e facendo sì che le varie storie si intersechino avendo in comune alcune carte. Nel mazzo gli arcani (le figure) rappresentano i personaggi, mentre i semi rappresentano le azioni, e il narratore interpreta le carte che a mano a mano vengono scelte dai diversi personaggi che raccontano, in questo modo silenzioso, le proprie storie, e le ricostruisce nel libro.
Si tratta di un libro di narrativa combinatoria, cioè un libro realizzato a partire da alcuni elementi definiti a priori (i tarocchi) e combinati in vario modo per potere ottenere una narrazione. Già nel saggio su "La vita, istruzioni per l'uso" di Perec avevo espresso i miei dubbi sulla correttezza di chiamare iperromanzo un libro di narrativa combinatoria se non era accompagnato da altre caratteristiche. Secondo me si tratta semplicemente di un modo come un altro, magari maggiormente definito ed esplicitato di altri, di costruire una storia, una scelta dell'autore che di per sé non differenzia il libro da qualsiasi altro libro, sia esso autobiografico, generato a partire da una storia reale oppure scaturito dall'immaginazione dell'autore.
Detto ciò, ricercando le caratteristiche che Calvino ha definito basilari per un iperromanzo, si vede che per "Il castello" sono effettivamente presenti, in particolare perché il libro funziona da macchina per moltiplicare le narrazioni, perché le diverse storie si intersecano, e perché le storie agiscono in un contesto che da esse è determinato. Il fatto è che tutto ciò rimane come chiuso all'interno del libro, come se fossero idee incastonate a forza dall'autore nella narrazione, frutto quasi di una operazione di ingegneria letteraria. Non si tratta di idee vive, che effettivamente fanno crescere il libro al di fuori dei suoi normali confini e da cui trasbordano, come capita ad esempio per il già trattato "La vita istruzioni per l'uso" di Perec.
Una caratteristica secondo me fondamentale dell'iperromanzo è: nessuno ti deve spiegare che quello è un iperromanzo, non ci sono regolette come quelle di Calvino da soddisfare, o spiegazioni esterne che tengano: il lettore, leggendolo, deve capire che ha in mano qualcosa di più di un normale romanzo, qualcosa che ne supera i normali confini.
Ecco, la differenza tra romanzo e iperromanzo secondo me sta, oltre che nei punti elencati da Calvino, proprio nello spazio occupato dal libro: se il libro utilizza le idee espresse da Calvino in "Lezioni americane" per diventare vivo, straripante oltre le proprie pagine e in grado di coinvolgere e travolgere il lettore, allora si tratta di iperromanzo; se il libro è chiuso in quelle poche regole che lo costringono, se non stimola la fantasia del lettore e non gli permette una visione ampia, più ampia dei contenuti del libro, allora si tratta di un normale romanzo. Purtroppo per Calvino il suo libro, a mio parere, non ha la forza necessaria per costruirsi un mondo proprio, essendo troppo freddo, troppo tecnico per attirare il lettore al proprio interno.
Voto alla complessità dei contenuti: 4/10
Il libro risponde ai requisiti dell'iperromanzo posti dall'autore, e rispetta le stringenti regole che esso si è autoimposto, ma non riesce a scavalcare la barriera dell'iper, rimanendo quindi un buon romanzo.
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Ultimo aggiornamento: 1 giugno 2008.